Londra. La morte della regina Elisabetta ha messo in moto una macchina organizzativa perfetta che pesca a piene mani nella storia pluricentenaria del Paese. Tutto quintessenzialmente inglese. Il 19 settembre, dopo il funerale nell'abbazia di Westminster e la sepoltura nella cappella di San Giorgio, a Windsor, calerà il sipario cerimoniale sulla sovrana più longeva del regno e comincerà (mediaticamente, perché sostanzialmente il passaggio è già avvenuto) l'era di Carlo III. La regina è morta, lunga vita al re. Ma gli effetti politici degli avvenimenti di queste ore si dipaneranno per anni a venire.
La regina Elisabetta è stata un personaggio fortemente politico: salita al trono nel 1952, per gli inglesi incarnava, non solo rappresentava, l'istituzione monarchica, l'anello di congiunzione storica e culturale tra la modernità e un passato in cui spesso il Paese, per lo meno negli ultimi 500 anni, ha avuto un posto al centro della storia. Passata attraverso le sofferenze, la dedizione, gli eroismi della seconda guerra mondiale, il declino imperiale, le difficoltà economiche degli anni '70 e le dolorose riforme thatcheriane, i ruggenti '90, gli alti e bassi economici del nuovo millennio, la Brexit, ieratica come una kore greca e pur tuttavia fascinosamente carismatica, Elisabetta ha rinnovato e rinvigorito la popolarità della monarchia in Inghilterra. Essere inglesi vuol dire essere monarchici: Carlo non verrà defenestrato, dopo di lui William salirà al trono e così per generazioni a venire. Simpatie e movimenti repubblicani sono irrilevanti. Anche in Scozia la regina era una figura popolare, molto più di qualsiasi governo e politico di Londra, indipendentemente dal colore. Nel breve periodo la sua morte potrebbe favorire la causa unionista: l'ondata di commozione popolare collettiva, il Regno al centro della scena politica mondiale per settimane, il cordoglio dei leader di tutto il mondo, le pantagrueliche abbuffate mediatiche di questi giorni, potrebbero far propendere molti indecisi a favore del mantenimento dell'unità del Regno. Un secondo referendum per l'indipendenza non è ancora in programma ma nei piani della prima ministra scozzese Sturgeon si dovrebbe tenere il prossimo anno (da Londra, al momento, c'è un no secco). Una strategia che rischia di deragliare se la morte di Elisabetta dovesse convincere molte persone a nord del vallo che rimanere nell'Unione, oltre che utilitaristicamente conveniente, è anche molto cool.
Molto diverso potrebbe essere l'impatto sul Reame del Commonwealth, l'insieme dei 15 Paesi di cui la regina era ancora capo dello Stato, parte del più esteso Commonwealth delle Nazioni (56 stati membri, molti dei quali ex colonie dell'impero britannico). La regina Elisabetta, il suo fascino personale che enfatizzava la seduzione politica, storica, cerimoniale esercitata dalla figura del monarca inglese, ha avuto un ruolo fondamentale nel mantenere questi Paesi legati alla corona, limitando il numero di quelli che hanno scelto di diventare repubbliche. Arduo sarà il compito cui è chiamato Carlo, che dovrà non solo rimpiazzare la madre ma rivelarsi all'altezza del suo fascinoso carisma.
Soprattutto con riguardo ai Paesi caraibici, dove già le Barbados lo scorso novembre si sono staccate dalla monarchia inglese e sono diventate una repubblica e altri sei Paesi hanno dichiarato l'intenzione di iniziare lo stesso percorso per punire la corona del periodo coloniale. La stessa motivazione che ha spinto Santiago Cuneo, presentatore argentino, a brindare in diretta alla morte della «vecchia nazista». Ognuno ha il suo Marco Rizzo.
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