La scelta di Mario Draghi di non lasciare spazio al confronto parlamentare, chiedendo la fiducia sulla manovra al termine di un dibattito assai breve, deve obbligare a qualche riflessione. Se le opposizioni hanno protestato è facile capirne i motivi, dato che per loro non è stato possibile fare molto per modificare la struttura del bilancio.
Simili contestazioni possono apparire interessate. Al tempo stesso è vero che anche un osservatore che volesse essere neutrale avrebbe comunque qualcosa da obiettare, dato che i nostri ordinamenti politici poggiano la loro legittimità su principi e procedure. Quanti ci governano giustificano il loro potere a partire da quel mandato che affida agli eletti il compito di avanzare proprie tesi e contestare quelle altrui. L'assenza di un'ampia discussione sulle maggiori decisioni concernenti la cosa pubblica, allora, deve allarmare e mettere in guardia.
È sicuramente vero che, negli anni passati, le settimane di confronto parlamentare dedicate a emendare la manovra sono sempre state caratterizzate da un «assalto alla diligenza», poiché a fine anno ogni gruppo di pressione ha puntato a ottenere benefici, a scapito degli altri. È però difficile immaginare una democrazia priva di un qualsivoglia confronto e, di conseguenza, anche di mediazioni piuttosto infelici. Tanto più che lo stesso disegno di legge inemendabile sottoposto alla fiducia parlamentare contiene tutta una serie di misure discutibili: come nel caso, solo per fare un esempio, del superamento del tetto di 240mila euro per i dirigenti pubblici. Per giunta, pensare che il peggio possa venire dall'opposizione e dai «peones» significa avere una comprensione davvero limitata delle dinamiche del potere nelle società contemporanee.
In tutti questi mesi la duplice emergenza del debito e dell'epidemia è stata utilizzata a giustificare una democrazia in qualche misura dimezzata, in cui i partiti e le loro tradizioni ideali hanno dovuto mettersi da parte per lasciar spazio a quella visione astrattamente tecnocratica ritenuta in grado di fare interloquire Roma e Bruxelles.
È però evidente che ogni società ha bisogno di una pluralità di voci, di un confronto
tra interessi esplicitamente espressi e anche di un aspro dibattito politico. È grazie al confronto tra diverse visioni che, pur con fatica e tra mille errori, si può procedere verso una migliore comprensione del da farsi.
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