Sergio Staino manda in pensione Pier Luigi Bersani e la vecchia classe dirigente dem che non ha saputo arginare l'avanzata di Matteo Renzi. "Di Renzi non mi piace quasi niente - tuona il vignettista al Fatto Quotidiano - ho contrastato fin dall'inizio l'ingresso e la sua ascesa all'interno del Pd. Sono stato tra i primissimi a parlare con D'Alema e con i suoi a Firenze, avvertendoli del pericolo, esponendo dei dubbi, ponendo delle domande".
A Bersani Staino consiglia di "andare al parco con i pensionati". Ma non ce l'ha soltanto con lui. Ne ha anche per la minoranza dem che la bolla come "un gruppo di ubriachi". "In nessuna loro azione riconosco la tradizione, non dico del partito, ma di una vocazione politica che mi ha accompagnato in tutta la vita - tuona - la politica è una cosa sacra, bella. Questi stanno dimenticando tutto". E ricorda quando ha messo in guardia Massimo D'Alema dal rischio Renzi. L'ex premier gli ha risposto con alterigia: "Ma Sergio, Ma che mi dici? Ma cosa te ne frega? Renzi tanto finisce". "Li ha fregati come bambocci - commenta il vignettista - lo hanno fatto premier e segretario del partito. Del mio partito. Su tante cose, a partire dal Jobs Act, non sono d'accordo con lui. Ma l'idea di buttarlo giù per sostenere quelli che gli hanno permesso di emergere non mi sfiora".
"Se la mettiamo sul piano degli affetti, la vicenda è molto dolorosa. Lacerante. Devastante - incalza Staino - parliamo di persone con cui c'era amicizia e simpatia, ma quello che sono costretto a dare è un giudizio politico senza appello. Sembra di avere di fronte un gruppo di ubriachi, di gente drogata, non più in sé. Non capisco cosa sia successo".
Staino ammette di non essere in grado di valutare fino in fondo se questa legge elettorale sia la meno peggio e se si potesse fare di meglio, ma è convinto che "appellarsi alle preferenze per contrastarla rinnega una storia decennale".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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