Sesso dietro le sbarre: rebus costituzionale

Un giudice di sorveglianza si appella alla Consulta per chiedere libertà sessuale per i detenuti

Sesso dietro le sbarre: rebus costituzionale
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«Il diritto alla libera espressione della propria affettività, anche mediante i rapporti sessuali» è un diritto inviolabile di tutti i cittadini, anche di quelli detenuti. E impedire a chi vive in carcere una vita sessuale è un «trattamento inumano e degradante». È su questa tesi che da ieri è chiamata a esprimersi la Corte Costituzionale, con una sentenza - prevista per oggi - che potrebbe cambiare in profondità il sistema penitenziario italiano. Nel futuro prossimo dei detenuti, purché non siano sottoposti a misure di sicurezza particolari, potrebbero arrivare anche in Italia le «stanze dell'amore», luoghi appartati dove gli incontri possano svolgersi lontano dagli occhi degli agenti di custodia, in modo da poter sviluppare in pieno «affettività» e «sessualità».

Sono passati undici anni dall'ultima volta che la Consulta si era espressa sulla richiesta di un condannato di poter fare sesso durante i colloqui: e allora il divieto era stato confermato, pienamente conforme alla Costituzione e - in sostanza - un elemento di quelle privazioni della libertà senza le quali il carcere non sarebbe carcere. Spettava semmai al Parlamento, disse la Consulta, intervenire con una nuova legge. Ieri, su iniziativa di un giudice di sorveglianza di Spoleto, la faccenda torna all'esame della Corte. Visto che negli undici anni trascorsi dall'ultima sentenza il Parlamento non si è mosso, il giudice chiede che sia la Corte a provvedere, cancellando dalla legge penitenziaria gli articoli che prevedono che i colloqui si svolgano sempre sotto il controllo almeno visivo della polizia penitenziaria.

A chiedere l'intervento della Consulta è stato E.R., detenuto da quattro anni per tentato omicidio e altri reati, e con la prospettiva di restare dentro fino al 2026. In carcere E.R. non si è comportato bene, accumulando denunce e rapporti disciplinari. Ma paradossalmente proprio il suo comportamento è stato usato per giustificare la richiesta: perché gli impedirà a lungo di godere di permessi premio, durante i quali avrebbe potuto fare sesso con la partner. Ma viste le sanzioni che ha accumulato, l'unico modo per garantirgli «spazio alla affettività» è modificare le leggi sui colloqui.

Il giudice che ha passato la palla alla Corte Costituzionale, Fabio Gianfilippi (nella foto), aveva avuto parole severe per le conseguenze del divieto di contatti fisici nei colloqui. «La forzata astinenza dai rapporti sessuali con i congiunti in libertà appare in contrasto anche con la Costituzione poiché di fatto determina una compressione della libertà personale che non appare giustificata in ogni caso da ragioni di sicurezza». «Una amputazione così radicale di un elemento costitutivo della personalità, quale la dimensione sessuale dell'affettività, finisce per configurare una forma di violenza fisica e morale sulla persona detenuta».

Oltretutto, scrive Gianfilippi, l'assenza di contatti sessuali ha effetti inevitabili sul «diritto alla genitorialità», impedendo di procreare». Ieri udienza pubblica e decisione rinviata a oggi, a conferma della complessità del tema.

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