Sfida tra big su sport e politica. Ibra stona, LeBron lo bacchetta

Il calciatore attacca chi si impegna fuori dal campo, il cestista non ci sta. Da Ali a Weah, la storia è con lui

Sfida tra big su sport e politica. Ibra stona, LeBron lo bacchetta

Saprà mai il signor LeBron James, stella del basket statunitense, che Sanremo è Sanremo? E Zlatan Ibrahimovic si è presto adeguato. Che altro pensare se non delle mitragliate di parole, anche a vanvera, che Ibra sta rifilando al mondo nelle ultime settimane. Mancano i gol, non le polemiche: per il mestiere suo un controsenso. E l'ultima botta e risposta fra le tesi del goleador e quelle del re del basket, su questioni politiche, è ideale per tener viva l'attenzione anche sulla nostra amenità canora che ha promesso l'Ibra show. Seppur sia vero che sport e politica non sempre si attraggono e si baciano.

Intanto è già intrigante sapere che James sia così ben informato sull'esistenza di Ibrahimovic e sul suo pensiero. Del resto lo svedesone ha giocato a Los Angeles fra il 2018 e il 2019. I top americani guardano spesso un po' dall'alto in basso (anche per questioni di stazza) i campioni di sport poco attraenti dalle parti loro. Il soccer vien trattato esattamente come da noi il baseball. Dunque un passo avanti. Ma poi la questione si fa seria. Zlatan dice, in una intervista, di non apprezzare quando le persone che hanno «una sorta di status fanno politica. Accontentati di quello che fai e fallo bene». E cita espressamente LeBron. L'altro deve aver ingoiato il concetto con lo stesso piacere del mangiare un rospo crudo e, dopo la sfida fra Lakers e Portland, non perde attimo per inviare la risposta, preparata dopo accurata ricerca. «Sono il tipo sbagliato da criticare. Divertente che queste parole vengano da lui, perché nel 2018 parlava del razzismo in Svezia per via del suo cognome. Ho una scuola con più di 300 bambini in Ohio: loro hanno bisogno della mia voce e la mia voce diventerà poderosa. Mai penserò solo allo sport e al basket. Per molto tempo ci è stato detto che, come sportivi, non eravamo capaci o non ci era permesso di parlare di altre cose. Oggi non è più così e non lo sarà per molto tempo». Vero che Ibra, ai tempi, rimpiangeva di non chiamarsi Isaksson o Svensson e si sentiva discriminato in patria. E che LeBron ha dato forza alle sue proteste anche sull'onda del movimento Black lives Matter. Però parlare di politica non è solo rifarsi al razzismo. Tutti sbagliano. Gli americani neri hanno una lunga storia di discriminazione alle spalle, dai tempi in cui esisteva la Major league e la Negro league, un faticoso cammino fatto di piccole conquiste: il debutto nel baseball di Jackie Robinson, il debutto di Dan Barksdale nel team olimpico del basket nel 1948 e tanto altro. Quindi i ragazzi di colore sono particolarmente sensibili.

Per esempio, parla Lebron e Enes Kanter, centro dei Portland, si accoda subito. Ma politica è anche quella di Pep Guardiola, che si presenta sui campi con la felpa di Open Arms, la Ong catalana, e magari verrà punito. Politica era quella di Muhammad Alì che ha rischiato la galera per le idee contro il Vietnam. LeBron non rischierà la galera. Bill Bradley, l'asso che giocò anche nel Simmenthal, è diventato senatore, è stato in nomination per le presidenziali nel Duemila. George Weah ha fatto carriera, il pugile ucraino Vitaly Klitsckho pure. Ma una volta scesi dai palcoscenici sportivi. Sarebbe ingeneroso e ingiustificato dividere la politica solo in bianco e nero. Neppure dire: sei atleta stai zitto, sei fuori fai pure. Lebron ricorda che gli atleti sono stati sottovalutati, quando si trattava di ascoltarne i pensieri. Del resto anche il giornalismo sportivo, per decenni, è stato considerato di serie B. Però Ibra sta dimostrando che, se il campione si sente divinità, va sopra le righe.

E siamo sicuri che la forza dello sport stia nelle parole? Jesse Owens ha fatto politica vincendo in pista. Bisogna saper parlare e ragionare. Ma l'evoluzione comprende anche il saper fare silenzio: giusto per non confondersi con i politici.

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