Usa e Cina mettono da parte, per il momento, l'incidente diplomatico innescato dai giudizi di Joe Biden su Xi Jinping («è un dittatore») e si concentrano sulla crisi in Russia. A Washington è bastato un giorno per passare dal «cosa sta accadendo?», al «cosa accadrà ora?». Il tentato golpe di Evgenij Prigozhin è stato seguito e continua ad essere seguito con la massima attenzione. Allo stesso modo, Pechino non ha perso tempo e ha «convocato» il vice ministro degli Esteri Andrei Rudenko, ufficialmente per discutere con il ministro degli Esteri cinese Qin Gang di «questioni internazionali e regionali di comune interesse». In realtà, per farsi spiegare cosa sta accadendo a Mosca.
Le due superpotenze planetarie guardano alle sorti dell'altra traballante potenza nucleare e del suo leader, Vladimir Putin, con uguale apprensione, ma con obiettivi diversi. Da parte statunitense, come ha fatto lo stesso Biden nelle sue telefonate agli alleati Nato, si sottolinea che il focus rimane la guerra in Ucraina e si evita qualsiasi passo che possa offrire a Putin l'arma retorica del coinvolgimento occidentale nel possibile tracollo del suo regime. Gli Usa hanno perfino rimandato un nuovo e previsto pacchetto di sanzioni contro la Wagner, per non offrire alcuno spunto interpretativo ai russi. Da Pechino, nelle ore in cui le colonne di Prigozhin si avvicinavano a Mosca, non è giunto alcun commento. Il giorno dopo, sui media di Stato trapelava che la leadership cinese seguiva «da vicino» l'evolversi della situazione, anche per «trarre delle lezioni» dall'«abortito colpo di Stato». La Cina, uscita ulteriormente isolata dal patto stretto da Usa e India con la visita di Stato di Narendra Modi a Washington, non può permettersi di vedere precipitare nel caos l'alleato russo sul quale, più che militarmente, ha investito politicamente per mettere in difficoltà l'Occidente. Gli Stati Uniti, secondo quanto riferito da varie fonti nella giornata di sabato, erano rimasti «sorpresi» dalla rapidità con la quale gli eventi stavano precipitando. Poi - la superpotenza non può permettersi di mostrarsi off guard - altre fonti lasciavano trapelare ai media Usa che in realtà l'intelligence «si aspettava» la ribellione di Prigozhin, che da tempo stava ammassando munizioni e materiali per la sua marcia su Mosca.
Sempre fonti di intelligence riferivano che gli Stati Uniti si aspettavano uno «spargimento di sangue ben maggiore» rispetto a quello che poi si è verificato sul terreno. Pechino si limitava a commentare che la ribellione della Wagner «è una questione interna alla Russia». Quanto alla domanda, what's next?, cosa accadrà ora, per decifrare la posizione cinese si può fare affidamento solo sullo scarno comunicato al termine del faccia a faccia tra Rudenko e Qin: Le due parti si sono impegnate a «rafforzare la solidarietà e la cooperazione» e a sottolineare che «in base alla complessa e grave situazione internazionale, è necessario seguire quanto stabilito dai due capi di Stato» e «comunicare in modo tempestivo».
A Volere interpretare, se ne ricava che anche Pechino è rimasta spiazzata dagli eventi degli ultimi giorni. Più esplicito il segretario di Stato Usa Antony Blinken: «È troppo presto per dire dove si andrà a finire», ha detto in una serie di interviste ai media Usa. «Ma una cosa è certa: sono emerse delle crepe che prima non c'erano». La crisi interna al regime putiniano per Washington può rivelarsi un vantaggio sul fronte ucraino: «La Russia ora è distratta e Putin deve preoccuparsi di quanto accade in Russia al pari di quanto sta cercando di fare, senza successo, in Ucraina». Ma, allo stesso tempo, rimane l'incognita del controllo delle 6mila testate nucleari russe.
«Ogni volta che un Paese come la Russia mostra segni di instabilità ci dobbiamo preoccupare». E tuttavia, ha aggiunto Blinken, gli Usa al momento non hanno visto «cambiamenti nella postura nucleare» russa e di conseguenza non hanno modificato la propria.
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