"La sfida Giorgia-Schlein fa bene all'Italia"

Confalonieri sul nuovo dualismo. L'evento con Bazoli, Minoli e l'autore

"La sfida Giorgia-Schlein fa bene all'Italia"

Da un lato l'uomo della finanza, dall'altro quello della tv commerciale. Defilato, ma protagonista, «l'ultimo democristiano», mai stato al governo. Le immagini rievocate dal presidente emerito di Intesa San Paolo Giovanni Bazoli e dal presidente di Mediaset Fedele Confalonieri dipingono un quadro lungo quarant'anni di vita politica vissuti da Pierferdinando Casini e da quest'ultimo messi nero su bianco nel libro «C'era una volta la politica». Ma si comincia dall'anno domini 2023, il primo con due donne alla guida dei principali partiti politici in Italia. «Il Pd aveva due strade: la continuità o l'elettroshock - spiega Casini -. Tutto sommato Elly Schlein ha suscitato qualche entusiasmo. E sia lei che Meloni hanno battuto degli uomini, a dimostrazione che le eredità si prendono e non si ricevono». Concorde ma più tagliente Confalonieri, che pur ironizzando sul fatto che «adesso le donne sono di moda» ammette che «il confronto tra Meloni e Schlein fa bene al Paese», alludendo al ritorno a una contrapposizione netta tra destra e sinistra. Col governo Meloni è tornata la politica, insomma? «Abbiamo trascorso la suggestione dell'antipolitica - ricorda il senatore -. Quando il primo giorno da presidente della Camera Roberto Fico arrivò in autobus mi misi le mani nei capelli. Pensai: ma dove siamo arrivati? Ora è tempo che torni la vera politica».

Quando parla alla stagione che fu, Casini allude agli anni dei grandi maestri («Bisaglia mi ha insegnato che un politico non deve mai dire bugie, Forlani mi trasmetteva senso di relatività») e della dissoluzione della Democrazia Cristiana(«non è morta per Tangentopoli, non c'erano più le condizioni internazionali»). E lo fa in un piccolo paese dell'hinterland bresciano, Castenedolo, nel quale riecheggia il nome di Mino Martinazzoli, l'ultimo segretario dello scudo crociato. Aveva il compito, impossibile, di salvare la Dc. Col Cavaliere, invece, non si intese mai. «Forse mancava di senso pratico. Berlusconi entrò in politica con la mente dell'imprenditore che era in sintonia col pubblico, non poteva intendersi con un raffinatissimo intellettuale come lui. Si incontrarono, ma parlavano due lingue diverse». Per il presidente Bazoli fu proprio quella sinistra democristiana a condurre alla nascita del Berlusconi politico nel 1994: «Con la sua capacità intuitiva è riuscito a cogliere quel vuoto. In qualche modo era inevitabile». Nei racconti - incalzati da Giovanni Minoli nella tappa bresciana della presentazione del libro - ricorre spessissimo il leader maximo di quelle stagioni. È Berlusconi il vero Re Mida, il politico «che vuole ballare da solo», «che ascolta tutti, ma decide lui». Pierferdy l'ha provato sulla propria pelle nel 2008, quando ruppe con la Casa delle Libertà: «È affettuosamente satanico. Quando dissi i nostri valori non sono in vendita lui aveva già capito che avrei tolto tanti voti non a lui ma a Walter Veltroni. Più polemizzavo con Berlusconi più arrivava gente nuova ai comizi. Erano i delusi del Pd per l'accordo con Pannella». Altri tempi, altre dinamiche.

Oggi, invece, Casini sorride sornione quando gli si fa notare che tra 7 anni avrà l'età ideale per riprovare la corsa al Colle. Bazoli lo incorona («ma all'incontro milanese del novembre 2021 non parlammo di elezione del Capo dello Stato»), Confalonieri devia. Lui ammette di sentirsi «sempre meno uomo di parte». E traccia il solco.

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