Rimini. Il Palazzo e la piazza. Quella, peraltro, politicamente più ostile. Una dicotomia che in queste ultime 48 ore insegue come un'ombra Giorgia Meloni. E che potrebbe esplodere oggi, quando la premier primo presidente del Consiglio dopo 27 anni sarà ospite del congresso della Cgil a Rimini. La leader di Fratelli d'Italia interverrà davanti ad una platea avversa, che ieri non ha risparmiato fischi pure a Carlo Calenda. E che da giorni s'interroga sull'accoglienza da riservarle. Ancora ieri, Maurizio Landini ha rassicurato Palazzo Chigi sul fatto che qualunque forma di dissenso sarà «civile». E in effetti il problema è più del segretario della Cgil che ha scelto di invitare Meloni che della presidente del Consiglio. Non è un caso, infatti, che da giorni Landini stia facendo moral suasion sui suoi chiedendogli «un comportamento rispettoso di un'ospite e del suo ruolo istituzionale». Così, probabilmente alla fine sarà accantonata l'idea di una contestazione «silenziosa» ma con lancio di peluche, a richiamare quella riservata al governo a Cutro. «Sarà un presidio a sorpresa, un po' creativo e un po' pacifico», si limita a dire Eliana Como, delegata Fiom ed espressione della minoranza (a Rimini conta 24 delegati su 986).
Certo, i temi divisivi sono tanti. Forse tutti. A partire dal disegno di legge delega per la riforma del fisco che, con una tempistica davvero curiosa, il Consiglio dei ministri ha approvato proprio ieri, alla vigilia della kermesse riminese. E sul quale c'è la netta contrarietà non solo della Cgil, ma di tutti i sindacati che accusano il governo di non essere stati coinvolti e minacciano di scendere in piazza. Impossibile che non sia un tema di confronto oggi, anche perché ieri Palazzo Chigi ha deciso di non illustrare il provvedimento. Era inizialmente prevista una conferenza stampa, a cui comunque non avrebbe dovuto partecipare Meloni. Anche questa una scelta singolare, perché è davvero inusuale che un premier non sia presente quando c'è da spiegare un provvedimento di una simile portata. Ovviamente, lasciando poi la parola ai ministri competenti (in questo caso l'Economia) per l'illustrazione dei dettagli. Invece alla conferenza stampa avrebbero dovuto esserci solo Giancarlo Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo, salvo poi non farne più nulla. Pare a causa di un braccio di ferro in corso sul decreto per il ponte sullo Stretto. Che infatti ieri è stato poi approvato «salvo intese» («il testo sarà disponibile a breve perché sono necessari gli ultimi approfondimenti», spiega una nota del ministero dei Trasporti). Anche se nella Lega c'è chi maligna sul fatto che la premier non volesse lasciare i riflettori a Matteo Salvini, che ovviamente avrebbe partecipato alla conferenza stampa per rivendicare la sua vittoria sul ponte.
Congetture a parte, di certo c'è che Meloni ha di nuovo preferito evitare il confronto diretto con la stampa (limitandosi a un post serale su Facebook, in stile Giuseppe Conte), peraltro in una giornata in cui ha anche incontrato i superstiti del naufragio di Cutro e i familiari delle vittime. Un faccia a faccia spiega il ministro degli Esteri Antonio Tajani (presente insieme al sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano) «molto toccante». Erano in 35, di cui tre donne, la maggior parte ventenni, molti afghani, poi pakistani, siriani e palestinesi. Hanno ringraziato Meloni per l'incontro e le hanno chiesto di adoperarsi per il recupero delle ultime salme che dovrebbero essere incagliate nel barcone in fondo al mare. La premier si è commossa e ha chiesto ai presenti se fossero consapevoli dei rischi legati alla loro traversata. Con uno degli ospiti che ha dato una risposta eloquente: «Restare in Afghanistan o in Siria significa restare a una vita che non è vita». Un incontro blindato, alla larga da telecamere e taccuini della stampa.
Con il pullman della Polizia che ha trasportato la delegazione che è entrato a Palazzo Chigi dal retro. C'è chi ha ipotizzato una scelta di prudenza dopo le polemiche della scorsa settimana, anche se l'entourage di Meloni spiega che si è solo voluta rispettare la privacy di chi ha già molto sofferto.
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