Quando dalle piazze si sale al governo anche i migliori cavalli di battaglia rischiano di restare in scuderia. Giorgia non ne fa un mistero. E così quando il suo discorso tocca il tema cruciale dei flussi migratori il «blocco navale», la soluzione promessa per anni ai propri elettori, viene prontamente rivisitata. A spiegarlo è lei stessa. «Se non volete che vi parli di blocco navale lo dico così». Ma nelle parole che seguono si nasconde una sfida ancor più ambiziosa all'Europa e a chi, pur avendone i mezzi, non ha fatto nulla per fermare il traffico di uomini. «È nostra intenzione - dice il Presidente del Consiglio in pectore - recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell'Unione Europea che nella terza fase prevista, e mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal nord Africa».
Quattro righe secche e coincise con cui dribbla le indifendibili trincee del blocco navale e dei respingimenti rilanciando la palla nel campo di Bruxelles. Sull'inattuabilità del blocco navale c'è, del resto, poco da argomentare. Per capirlo basta la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo che nel febbraio 2012 condannò l'Italia per i respingimenti attuati, tre anni prima, dal governo Berlusconi d'intesa con Gheddafi. Riaprire quel capitolo dai banchi del governo equivarrebbe a farsi impallinare, nel nome dei diritti umani, sia in Italia che in Europa. Meglio dunque spostare la palla nel campo di Bruxelles. Anche perché la missione Sophia oltre a godere dell'«imprimatur» del Consiglio Europeo, che l'approvò nell'aprile 2015, vanta la primogenitura di Federica Mogherini, il Commissario agli esteri europeo di fede dem che ne curò il progetto.
La missione, denominata in origine «Eu Navfor Med», prendeva spunto da quella «anti-pirateria» intrapresa anni prima davanti alla Somalia e prevedeva il dispiegamento di navi e aerei per arginare il traffico di uomini dalle coste libiche.
Al pari della missione anti-pirateria non escludeva l'impiego di nuclei di incursori incaricati, nella terza e ultima fase della missione, di scendere a terra, catturare i trafficanti di uomini e distruggerne basi e mezzi. Ma la fatidica fase tre, come ha ricordato Giorgia Meloni, non venne mai realizzata.
Dal giugno 2015 al 31 marzo 2020, quando cessò le attività, la missione Sophia si limitò a monitorare il traffico di uomini e ad addestrare la neonata guardia costiera libica senza intraprendere azioni di contrasto. In compenso le navi della missione Sophia, così ribattezzata dal nome d'una bimba somala nata a bordo, vennero impiegate per soccorrere i barconi in difficoltà e traghettare nei porti italiani più di 40mila migranti che si sommarono a quelli sbarcati dalle Ong.
Dietro i mancati obbiettivi di Eunavfor Med si celava la latitanza politica delle istituzioni europee. Spettava a loro ottenere dal Consiglio di Sicurezza Onu, o da Tripoli, il via libera alle operazioni in territorio libico per catturare i trafficanti e distruggerne basi e mezzi. Operazioni accompagnate dalla creazione di centri d'internamento protetti da forze europee dove separare i migranti meritevoli d'asilo in Europa da quelli irregolari destinati al rimpatrio.
Ma per quanto incompiuti i buoni propositi di Eunavfor Med, già ratificati dal Consiglio Europeo, restano un precedente che legittima l'eventuale richiesta d'impiegare una forza militare Ue per arginare il traffico di uomini. Anche perchè, come ha ricordato la Meloni, non è ammissibile che siano i trafficanti a scegliere chi viene accolto in Italia ed Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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