"Si lasciano morire di fame". Rsa, è allarme anziani soli

Dopo il lockdown per gli ospiti le visite restano proibite. Il grido dei parenti: è atroce non vederli

"Si lasciano morire di fame". Rsa, è allarme anziani soli

Come carcerati dimenticati dal mondo. Restano così, in attesa più della fine che di una speranza gli anziani ricoverati nelle case di riposo, negli ospedali e nelle cliniche. Le visite continuano ad essere contingentate, in moltissimi casi proibite del tutto. Dipende dalla sensibilità del referente Covid di ogni struttura, dalla capacità di trovare soluzioni. E guai a chi capita quello che non ammette eccezioni. «Cadono in depressione e si lasciano morire». Silvio Ferrato è il presidente di una casa di riposo di Cuneo, Sanfront, ed è tra i pochi che ha fatto sentire la sua voce scrivendo al presidente Mattarella affinché intervenga. «Vergognoso che i nostri anziani siano trattati così. Bisognerebbe vederli come se ne vanno, per un po' ci domandano perchè sono stati dimenticati, poi scatta in loro un meccanismo per cui smettono di mangiare e si lasciano scivolare verso la morte. Non è atroce? Indegno per una società che si dice civile. Andiamo sulla Luna, abbiamo pensato al plexiglas per le spiagge, possibile che per loro non ci sia niente da fare?».

Dopo i morti e le polemiche dei mesi scorsi le Rsa si sono chiuse a riccio e hanno scelto un'amministrazione difensiva, c'è la responsabilità penale. Ci sono le linee guida delle Asl da interpretare, in alcuni casi è ammesso vedere i parenti dietro a un vetro senza toccarsi, in altri neppure questo. La situazione non è semplice, c'è il virus che continua a far paura, il passato ha insegnato che i più fragili sono loro ma buttare la chiave non può neppure essere una soluzione perchè anche di abbandono si muore. «Deterioramento cognitivo atroce e drammatico da cui non è più tornata indietro» racconta in lacrime la figlia di una paziente di una Rsa dell'Emilia Romagna. E mentre l'Istituto Superiore di Sanità si prepara a diramare nuove linee guida per sbloccare l'empasse c'è chi fa appello al buon senso e attenua. Come al Cottolengo di Torino 300 posti, dove sono stati creati degli spazi di incontro ad hoc con mascherine e autocertificazioni. «Non mangiavano più e in molti mostravano disturbi», spiegano. Ferrato alza la posta. «È disinteresse, perchè a volerlo gli ostacoli si superano. Certo, noi abbiamo perso 9 persone per il Covid. Abbiamo pagato un pezzo altissimo, ma oggi abbiamo più strumenti, competenze». Lui per i suoi anziani ha studiato alternative, «abbiamo comprato il sanificatore, facciamo entrare in una saletta solo un ospite con un parente per volta che ha mascherina e camice. Non c'è mai stato un igiene così alto. Perchè allora negargli il rapporto umano? È una tortura senza motivo».

Ci sono anche i disabili tra queste vittime silenziose. Ogni giorno una madre di 70 anni passava i pomeriggi con la figlia gravemente disabile ricoverata. Oggi non può più farlo e sta morendo di strazio. Ci sono strutture che concedono una videochiamata alla settimana a ospiti che in molti casi neppure ci vedono, chi può muoversi si affaccia alla finestra e saluta con la mano i parenti in strada. Ma è dura. Il rischio più alto è sì la depressione ma anche la perdita progressiva di orientamento. C'era un uomo ricoverato in una struttura di Milano a cui è successo così. Non ha più visto le sue persone. Aveva 103 anni e nessun problema in particolare ma da lì non è più uscito.

«Una soluzione ci sarebbe, spiega il virologo Andrea Crisanti. Far fare un tampone molecolare ai parenti il giorno prima di entrare e se è negativo, con la mascherina e il camice il rischio è praticamente a zero». Servono nuove linee guida subito. MAlf

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