Difficile tornare indietro. Perché il polo sovranista è di fatto già nato. E trova le sue basi in quel contratto di governo che M5s e Lega hanno discusso, limato e concordato nel tentativo di dar vita al «governo del cambiamento». Un asse che si è venuto saldando in queste due settimane di incontri, vertici e telefonate e che probabilmente era nato già mesi e mesi fa. Un'intesa che resta viva anche dopo che Giuseppe Conte è andato a sbattere contro il «no» di Sergio Mattarella alla nomina di Paolo Savona a ministro dell'Economia. E che anzi si va rafforzando.
Da domenica sera, infatti, M5s e Lega si trovano sulle barricate insieme, pronti a puntare l'indice contro il capo dello Stato e decisi a fare una campagna elettorale tutta in chiave anti-Europa. Con una sorta di inversione di ruoli, visto che Luigi Di Maio ha deciso di spingere sull'acceleratore come mai prima. D'altra parte, il leader grillino paga - in termini politici ma anche nei sondaggi - il suo rapporto osmotico con il segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti e, in definitiva, la svolta iperistituzionale di questi quasi tre mesi di consultazioni permanenti. Ecco perché oggi chiede a gran voce l'impeachment di Mattarella, mentre Salvini - che invece è riuscito a tenere con grande abilità una posizione di mezzo - sceglie toni duri ma non da guerra civile. D'altra parte, su Di Maio pesa anche il dubbio di aver lasciato troppa corda al leader della Lega e di essersi infilato da solo in un vicolo cieco. Nel Movimento lo pensano in tanti, su tutti Alessandro Di Battista che ieri non ha affatto gradito i messaggi che gli hanno inviato via Whatsapp deputati di Forza Italia e del Pd: «Vi siete fatti fottere da Salvini!».
Comunque siano andate le cose, non è certo questo il momento per aprire un fronte tra M5s e Lega. Anche perché il ritorno alle urne a breve è pressoché inevitabile e da entrambe le parti sembrano intenzionati a giocare ancora di sponda. L'unica cosa che non è sul tavolo è un'alleanza strutturale, anche perché il M5s lo esclude per statuto. Detto questo l'ipotesi di un patto di desistenza con la Lega che si accaparra il Nord e i Cinque stelle il Sud è una delle soluzioni più probabili. Al punto che interpellato in Transatlantico sull'argomento, il grillino Angelo Tofalo non se la sente di smentire e si limita ad un sorriso. E non è un caso che Alfonso Bonafede, che nel governo Conte era destinato al ministero della Giustizia, ci tenga a dire che con Salvini hanno «collaborato molto bene». Una stima che è reciproca se il segretario della Lega spiega di aver trovato nel M5s «persone serie, di buon senso e che hanno mantenuto la parola data». La convergenza, dunque, resiste. Tanto che i due leader vogliono che passi l'immagine di un'azione congiunta e si presentano entrambi (prima Di Maio e a seguire Salvini) ospiti di Barbara D'Urso a Pomeriggio 5.
Il centrodestra, insomma, sembra ormai destinato al tramonto. Il leader della Lega, infatti, fa sapere che l'alleanza con Silvio Berlusconi non è scontata («troppi insulti, ci ragionerò») e studia lo schema da seguire di qui alle prossime elezioni. In caso di rottura con Forza Italia l'ipotesi più gettonata è quella della desistenza con il M5s. Se invece il centrodestra dovesse reggere all'urto, allora Salvini terrebbe aperto il secondo forno con i Cinque stelle solo nel caso in cui il risultato del voto fosse ancora una volta inconcludente.
Ad oggi, spiega il capogruppo di FdI Fabio Rampelli, «non ci sono certezze». D'altra parte, «non sappiamo se l'esperimento messo in campo da Lega e M5s è episodico o se sarà un nuovo orizzonte della politica italiana con tanto di alleanze e desistenze».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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