Siluro dalla Francia: "Meloni incapace di gestire i migranti". Tajani non va a Parigi. E l'Italia è compatta

Il ministro dell'Interno Darmanin sotto pressione per i clandestini al confine attacca il governo italiano. Il titolare della Farnesina: "Inaccettabile". Poi Parigi cerca di mettere una pezza: "Fondamentale collaborare"

Siluro dalla Francia: "Meloni incapace di gestire i migranti". Tajani non va a Parigi. E l'Italia è compatta

Poco accomuna Marine Le Pen a Giorgia Meloni: diversissime per carriera, approcci e politiche (specie economiche, da quando è a Palazzo Chigi, oltreché sul sostegno militare a Kiev). Lo aveva ribadito giusto poche settimane fa la diretta interessata d'Oltralpe in un'intervista. Eppure il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin ci riprova, a mettere il premier italiano sullo stesso piano spregiativo della leader francese; per sfuggire, stavolta, a una polemica interna che in patria lo insegue da mesi, e che ogni giorno che passa indebolisce di più le sue ambizioni di diventare primo ministro (a stretto giro) e correre (tra i papabili) per l'Eliseo nel 2027.

Messo all'angolo in un'intervista su Rmc, su quale fosse la sua posizione rispetto alle critiche del Rassemblement national, e cioè che Darmanin non è in grado di gestire l'immigrazione illegale in arrivo da Ventimiglia, il ministro perde le staffe: «Che succede a Mentone? C'è un afflusso di migranti e anche di minori, perché Meloni, e il governo di estrema destra scelto dagli amici di Marine Le Pen, è incapace di risolvere il problema migratorio, Meloni è come Le Pen, si fa eleggere e poi non risolve».

Dopo le fruttuose prove di distensione Italia-Francia, che ieri sarebbero dovute continuare a Parigi con la visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani all'omologa Catherine Colonna, piove quindi una bomba. Che deflagra. Tajani parla di offese «inaccettabili». Salta il viaggio a Parigi. Cancellato. E saltano non solo i nervi a Roma, ma pure all'Eliseo, dove si stavano (fino a ieri) già limando i dettagli per stendere il tappeto rosso alla stessa Meloni nella sua prima missione a Parigi cantierizzata per giugno.

Da Parigi si prova a correre ai ripari. La ministra degli Esteri sconfessa subito il collega: «La considerazione del lavoro italiano e dei suoi dirigenti è forte e alta, la collaborazione è fondamentale su un tema come la migrazione». Poi un secondo comunicato di Colonna, che telefona al vicepremier: «Spero che si possa programmare un nuovo incontro al più presto». Ci sarebbe stato anche uno scambio durissimo tra Darmanin e Colonna. Ma ormai l'autogol è segnato. E da possibili intese per potenziare la lotta agli scafisti, sollevando insieme un fronte in Europa, gli sherpa devono ricominciare quasi da zero.

Stavolta è la Francia a dover rabbonire gli animi. A Roma infatti per la prima volta si fa testuggine, anche a sinistra. Italia compatta nella condanna: «Facciamo noi l'opposizione, Darmanin si dedichi ad altro», scrive il Pd. E il leader M5s Giuseppe Conte: «Non devono permettersi di interferire». Così il vicesegretario di Azione Mariastella Gelmini: «Il presidente del Consiglio risponde agli italiani, noi non gli abbiamo fatto sconti, tuttavia ciò non autorizza un ministro francese a emettere giudizi». Nei mesi passati era stato Sergio Mattarella a mediare tra i governi cugini, in nome di un Trattato del Quirinale mai davvero apprezzato da Meloni. In questa fase, però, l'insulto gratuito scatena una crisi diplomatica forse più grave di quella che seguì la visita di Luigi Di Maio ai gilet gialli nel 2019.

Ma come ci si è arrivati? E perché, se come dice Colonna «il governo francese desidera collaborare con l'Italia per affrontare la sfida comune del rapido aumento dei flussi»? A far deflagrare Darmanin è stato lo scontro con i lepenisti iniziato mesi fa per gli sconfinamenti sulle Alpi Marittime. L'ultimo round, 48 ore fa, con la visita del presidente del Rassemblement national Jordan Bardella a Mentone. In un video, Bardella rilancia sui social la sua passeggiata al confine, chiedendosi dove fossero i rinforzi promessi: 150 agenti. Accusa di carenze Darmanin. E ripropone l'imbarazzante fuga di massa da Tolone dei migranti accolti lo scorso novembre dopo lo sbarco dell'unica nave Ong mai arrivata in Francia.

Non trovando altri argomenti - anche perché l'azione soft dei gendarmi, nonostante gli annunci, rientra nel sottile lavorio tra le due diplomazie per non esacerbare gli animi ed evitare tensioni in vista dei bilaterali - Darmanin si rifugia nell'antifascismo militante come un piccolo retore da centro sociale: «Nell'estrema destra c'è un vizio, mentire alla popolazione». Gelo. Il vicepremier Matteo Salvini rispedisce a Parigi le «lezioni da chi respinge donne e bambini e ospita terroristi». Tajani insiste: «Una pugnalata alle spalle». Meloni tace. Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d'Italia a Bruxelles, stigmatizza il «forte nervosismo per ragioni di politica interna». In un saliscendi continuo, non bastano le intese energetiche e sulla rinegoziazione del Patto di stabilità.

Per il ministro della Difesa Guido Crosetto, Darmanin «dovrebbe scusarsi col governo e Meloni». Poi la stoccata del presidente dei deputati di Forza Italia, Paolo Barelli: «Grave utilizzare argomenti che non riguardano la Francia solo per distogliere l'attenzione da ciò che Darmanin non riesce a gestire...».

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