Spiega Roberto Pennisi, che come pm della Procura nazionale antimafia ha scavato per due anni sulla penetrazione della 'ndrangheta in Emilia: «Una organizzazione mafiosa per essere tale ha bisogno di legami nella politica, nell'economia, nella finanza. Altrimenti è una normale banda di criminali e gangster. Ecco, in Emilia è mancata esattamente questa parte dell'indagine. Era l'indagine che io volevo fare, e che non è stata fatta».
Come rivelato ieri dal Giornale una relazione firmata proprio da Pennisi, e rimasta nei cassetti della Cassazione e del ministero, racconta per filo e per segno la vera storia del processo Aemilia: in cui vennero incriminati solo due politici di centrodestra, innocenti, e nessuno dei tanti nomi importanti della sinistra che comparivano nelle carte.
A tirare le fila dell'inchiesta, dopo che Pennisi era dovuto tornare a Roma, rimase il pm Marco Mescolini, nominato poco dopo procuratore di Reggio Emilia. È Mescolini che decide di chiedere l'arresto dei due esponenti di Forza Italia, e lascia inesplorate le altre strade. L'anno scorso Mescolini viene cacciato all'unanimità dal Consiglio superiore della magistratura con una delibera di asprezza inconsueta, si afferma che «sia stata oggettivamente pregiudicata l'immagine di indipendenza e imparzialità (...) essendo stata tratteggiata la figura di un magistrato che ha cuore le sorti degli esponenti locali del Partito Democratico».
L'inchiesta Aemilia, quella lasciata monca, è l'esempio più vistoso del clima che si respirava nella magistratura rossa dell'Emilia rossa. Un clima dove la contiguità tra politica e toghe è tale che a premere per promuovere Mescolini alla guida della Procura di Reggio è un avvocato, ex presidente dell'Ordine degli avvocati, che si chiama Celestina Tinelli: così vicina al Pd da essere stata eletta nel 2006 al Consiglio superiore della magistratura in quota dem. Ma la Tinelli non è la sola a tifare per Mescolini. Anzi. Comunisti, ex comunisti, sindacalisti, uomini di spicco delle Coop sono tutti - chissà perché - dei fan del barbuto procuratore. Il documento più interessante, per delineare la rete di protezione intorno a Mescolini, è la raccolta di firme che parte nel marzo 2021, quando il Csm destituisce il capo della Procura reggiana. Il gotha rosso locale insorge, accusando più o meno il Consiglio superiore di avere fatto un piacere alla 'ndrangheta, di cui Mescolini viene dipinto come l'instancabile persecutore. «Temiamo in particolare il pericolo di un rafforzamento della criminalità organizzata», scrivono addirittura i firmatari. Chi sono? Tra i primi indignati c'è Martino Bassoli, segretario regionale della Cgil; subito dopo Umberto Bedogni, figura importante del Pd di Reggio, oggi tra i principali sostenitori di Elly Schlein; e poi l'ex leader della Fgci Antonio Bernardi, l'ex segretario cittadino del Pd Mauro Vicini, la segretaria della Camera del lavoro Marika Todaro; fino a figure quasi storiche come Dumas Iori, presidente del comitato Reggio Tricolore e autore di un saggio su «Volti e storie del Pci e dei suoi militanti». È una sorta di ritratto di famiglia del potere che dai tempi di Peppone governa questa terra.
E che esprime compatto «solidarietà umana al procuratore Marco Mescolini, a cui è stata preclusa la possibilità di poter continuare a lavorare nel nostro territorio».Preoccupatissimi. Se si potesse leggere la relazione di Pennisi forse si capirebbe meglio il perché.
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