La «mozione della vergogna», la «scandalosa mozione» «tanto vergognosa quanto inaccettabile». La «mozione della discordia» che «non deve passare». Per non farla passare oggi arriveranno a Dalmine (Bergamo) anche da Brescia e da chissà dove: i compagni del Partito comunista bresciano troveranno in piazza tutta la sinistra, e i compagni della Cgil e l'Anpi, che «esprime profonda preoccupazione», per il «messaggio strumentale e populista» contenuto nella mozione, oltretutto «privo di qualsiasi fondamento scientifico».
Ma cosa prevede mai questa «mozione della vergogna» che sarà discussa e approvata stasera nel centro industriale della Bergamasca? Ebbene, ricalca l'impostazione della risoluzione approvata esattamente un anno fa al Parlamento europeo, quella che equipara fascismo e comunismo. E perché mai a Dalmine si discute di fascismo e comunismo? Perché nel 2017 la maggioranza consiliare (allora di centrosinistra) introdusse anche a Dalmine - come a Milano e in tanti altri Comuni d'Italia - una norma che poneva come condizione per ottenere sale o spazi comunali, o per occupare il suolo pubblico, una dichiarazione di fedeltà alla Costituzione e ai «valori antifascisti e antinazisti». E la maggioranza che regge il Comune adesso (di centrodestra) ha semplicemente pensato di integrarla con una dichiarazione di rispetto della Costituzione italiana e di «condanna di tutti i regimi e le ideologie ispirate al nazismo, al fascismo e al comunismo, nonché ai radicalismi religiosi». Un rifiuto del totalitarismo insomma, categoria che ben comprende anche i regimi islamisti e ogni altra forma di violenza religiosa. Ineccepibile.
Eppure l'intera (intera) sinistra lombarda è mobilitata contro questa ineccepibile (e si direbbe banale) integrazione, suffragata da una risoluzione del Parlamento europeo. «Cosa c'è che non va? Bella domanda - sorride il vicesindaco e assessore alla Cultura, Gianluca Iodice (Forza Italia) - l'idea è di una consigliera, Antonietta Zanga, eletta nella mia stessa lista, Noi siamo Dalmine. Questa signora iscritta a Fdi, ma di certo non incline al fascismo, ha sempre dovuto firmare il vecchio modulo, che richiedeva questa sorta di fedeltà antifascista, e ovviamente ha pensato non già di eliminare questa previsione, anche perché non aveva alcun problema a sottoscriverla, ma di integrarla. Lo ha proposto ai gruppi di maggioranza, che hanno accolto la proposta, e insieme abbiamo scritto la mozione».
«Personalmente - aggiunge Iodice - nel 2017 alla fine ho votato a favore di quella norma. Avevo qualche dubbio, perché consideravo ridondante quella dichiarazione, a mio avviso non c'era niente da aggiungere rispetto alla fedeltà alla Costituzione, e in più vedevo il problema di una dichiarazione che sanzionava non l'iniziativa fascista, o la manifestazione fascista ma il fascista in sé, che non avrebbe potuto neanche vendere le azalee per la ricerca sul cancro. Comunque votai a favore, sono un liberale conservatore, un moderato, votai a favore, anche se si capiva che l'obiettivo non era Casa Pound, che pareva dovesse prendere il 40%». «Ora - conclude - vorrei capire perché una sinistra normale non può votare questa versione e perché non riesce a liberarsi delle frange comuniste, perché tradisce una risoluzione europea, perché si fa guidare da compagni che fanno la campagna elettorale col colbacco a giugno e difendono la Cina, o non distinguono la Caritas dagli islamisti.
Perché nel 2020 è ancora giustificazionista rispetto a dittature sanguinarie? Albert Einstein diceva che la follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Lo dirò in Consiglio, se potrò parlare».
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