Oltre le questioni legali, al di là dei cavilli, c'è la politica. Che vuol dire anche alleanze, identità, posizionamento. A lungo termine potrebbe essere questo il vero scoglio da affrontare, per Giuseppe Conte, alle prese con la rifondazione del M5s. La confusione che regna sotto il cielo sta tutta nella definizione che, gli attivisti dei Cinque Stelle, hanno scelto per loro stessi nelle votazioni di Nova, la kermesse terminata domenica sera a Roma. Ovvero «progressisti» sì, ma «indipendenti». Un ircocervo di difficile lettura, anche dalle parti del Pd. «Massima disponibilità al dialogo ma nessuna alleanza strutturale», è la linea dei vertici contiani. Che vuol dire tenersi le mani libere. E la presenza, all'Eur all'evento del weekend, della leader del partito tedesco Bsw Sahra Wagenknecht è un segnale in questo senso. La Wagenknecht è uscita dalla sinistra di Die Linke per fondare un partito pacifista, considerato dalle venature «rossobrune» da molti analisti. Tutto molto diverso rispetto al Pd, con cui pure Conte non esclude un dialogo. Ma i pentastellati intendono differenziarsi dai dem, a partire proprio dall'immigrazione, «da affrontare con un approccio meno ideologico rispetto alla sinistra». Un progressismo naif, dalle sfumature pacifiste e non tacciabile di essere «radical chic». Più «populista e meno armocromista», come fa il verso a Schlein un parlamentare pentastellato di prima fila.
E, però, non mancano le spaccature all'interno del gruppo parlamentare del M5s. Rispetto al tema delle alleanze la geografia stellata si può dividere in «autonomisti» e «filo-Pd». Tra i primi figurano sicuramente personaggi come Chiara Appendino e Mariolina Castellone. Entrambe hanno accettato la svolta contiana, ma mantengono un atteggiamento molto freddo nei confronti dei dem. La prima, che li ha avuti all'opposizione in Comune a Torino, prima della kermesse dell'assemblea dei Cinque Stelle aveva messo in guardia Conte da tentazioni di liquefarsi all'interno del Pd. La seconda, vicina a Grillo su alcune questioni come i due mandati, pure è contraria a un abbraccio definitivo con i dem. Dall'altro lato troviamo big del passato recente, come Roberto Fico. Lo stesso Fico che, dopo l'abolizione dei due mandati, punta a una candidatura vincente alla Regione Campania. Obiettivo impossibile senza l'accordo con il Pd. Tradizionalmente vicino al Nazareno è anche Stefano Patuanelli, capogruppo dei pentastellati al Senato. Conte vaga nel mezzo, ma è sempre tentato di imbastire un'asse con Alleanza Verdi e Sinistra, magari puntando al sogno di candidarsi alle primarie di coalizione, con l'appoggio dei rossoverdi, per contendere a Elly Schlein lo scettro di guida dei progressisti. Ma, ed è quello che numericamente conta di più, a premere almeno per un fidanzamento ufficiale con il Pd sono i tanti parlamentari «peones».
Proprio loro che, acquisito il superamento della regola dei due mandati, pensano di potersi giocare più chances di essere rieletti. In questo senso, presentarsi in coalizione con i dem, alle prossime politiche, secondo loro gli assicurerebbe più seggi. Quindi sarebbe più facile conservare la poltrona.
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