La sinistra che ama i veti ora vuole liquidare Renzi

Un gruppo di intellettuali chiede alla Casellati l'espulsione del senatore: "Consulenze incompatibili"

La sinistra che ama i veti ora vuole liquidare Renzi

È un duello che ha origini lontane quello tra il Rottamatore della sinistra (ovvero Matteo Renzi) e l'intellighentia che della sinistra rappresenta il guardiano più radicale. E il guanto di sfida di questo duello è stato gettato nel 2013 con la costituzione dei Comitati per il No a quel referendum con il quale proprio l'ex enfant prodige di Rignano sull'Arno aveva chiamato gli italiani a decidere sul destino della nostra Costituzione e in particolare della nostra Camera alta.

Da allora le stoccate contro il leader di Italia viva non si sono più fermate. E ieri è arrivata l'ultima. Sotto forma di lettera inviata alla presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. Nella lettera si chiede semplicemente di buttare fuori da Palazzo Madama il senatore Renzi, colpevole di essere a libro paga di Fondi internazionali (inglesi, svizzeri e sauditi) per l'attività di consulente e conferenziere. «Gentile Presidente - si legge nella lettera che ha in calce le firme di un gruppo di intellettuali, accademici e costituzionalisti -, incombe al Senato che Ella presiede, il diritto e il dovere di imporre al senatore Matteo Renzi la scelta tra la sua appartenenza al Senato medesimo o ad organismi promozionali di altri stati a cui, per sua ammissione, pure appartiene».

Gli accademici e giuristi ovviamente non si limitano a segnalare il «difetto giuridico» ma offrono anche la soluzione. «Non occorre alcuna nuova legge e nemmeno apposito regolamento parlamentare perché egli sia tenuto ad ottemperare a tale obbligo - scrivono -. Esso si evince dall'articolo 67 della Costituzione secondo cui ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e dal articolo 54 che statuisce che I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore. Nemmeno le procedure giudiziarie che lo riguardano, come la natura dei governi al cui servizio egli si è posto, aggiungono o tolgono alcunché a tale obbligo che evidentemente esclude ogni doppia appartenenza». Questo nutrito gruppo di accademici e giuristi (tra le altre si leggono in calce alla lettera le firme di Gian Giacomo Migone, Luigi Ferrajoli, Tana de Zulueta, Nadia Urbinati, Francesco Pallante, Anna Falcone, Marco Revelli e Tomaso Montanari) ricorda che quelli sulle tracce dei quali si è messo Renzi (Tony Blair e Gerhard Schroeder) «hanno assunto incarichi analoghi, ma sempre successivamente alla scadenza dei loro mandati parlamentari e di governo».

Oltretutto si fa preciso riferimento all'elezione del presidente della Repubblica. «Il perdurare dell'attuale posizione del senatore Renzi costituirebbe un negativo precedente tanto più negativo in occasione dell'elezione del Presidente della Repubblica che richiede a ciascun parlamentare decisioni in rappresentanza e a servizio di una e una sola Nazione».

A ben vedere è sempre una questione di veti. Come quelli imposti da Enrico Letta che non vuole accettare la candidatura del suo alleato di governo Silvio Berlusconi, buono come alleato nell'alleanza che sostiene Draghi e, a suo tempo, come sostenitore proprio del governo presieduto nel 2013 dal segretario del Pd.

Le regole del gioco non valgono o meglio non sono tutto. Serve anche uno speciale endorsement da parte dell'avversario. Soprattutto ora che i rapporti di forza di sicuro non premiano il centrosinistra nella ricerca di un candidato ideale per il Colle. Con buona pace dei più elementari principi democratici.

La lettera aperta contro Renzi, però, dimostra che l'opinione pubblica quei principi li ha ben presente.

Sui social, infatti, sono stati tanti i commenti che sottolineano il vizietto di ignorare che pure degli elettori che hanno spedito Renzi al Senato bisognerebbe tutelare i diritti «costituzionali» di rappresentanza democratica.

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