Quel vuoto attorno al Pd

Nicola Zingaretti, al posto del Partito democratico, vuole un "partito nuovo", ma le realtà a cui si rivolge sono elettoralmente inesistenti...

Quel vuoto attorno al Pd

“Non un nuovo partito, ma un partito nuovo”. Nicola Zingaretti, con un gioco linguistico degno della Prima Repubblica, ha reso pubblico il suo sogno (non tanto) nascosto di disfarsi del Partito Democratico.

Pd 2.0, un approdo per le sardine?

La premessa è sempre la stessa: costruire un “campo largo” aperto“alla società e ai movimenti che stanno riempiendo le piazze in queste settimane”. In poche parole: sindaci, gretini e sardine. Ma guai a dirlo apertamente. “Non voglio annettere nessuno”, ha ribadito Zingaretti parlando dall’abbazia di Contigliano ai ministri, ai dirigenti e agli amministratori locali del Pd. Il segretario pensava o sperava di intercettare facilmente l’adesione delle sardine al suo progetto, ma così non è stato e ha dovuto tirare il freno a mano. Mattia Sartori, il leader del movimento anti- Salvini, infatti, intervistato da Lucia Annunziata su Rai3, è stato molto tiepido nell’accogliere l’apertura di credito ricevuta: “Sicuramente ci ha fatto riflettere l’invito di Zingaretti, è positivo. Ma per noi è troppo presto capire se partecipare a questa fase, siamo ancora in fase di gestazione, e anche il Pd deve capire come presentarsi a questo rinnovamento”. Se son rose fioriranno, ma non subito.

Galassia Pd

infografica a cura di Alberto Bellotto

I gretini italiani? Inesistenti in Parlamento e in Europa

Gli altri possibili interlocutori di Zingaretti o non esistono (elettoralmente, parlando) oppure le alternative sono due: o fanno già parte dell’attuale Pd o non ne faranno mai parte. Partiamo dai cosiddetti “gretini”, ossia gli ecologisti italiani infatuati delle idee di Greta Thunberg che viaggia sullo yahtch di Pierre Casiraghi, fulmina Trump con lo sguardo e piange durante il vertice Onu sul clima. Ebbene, questa ragazzina svedese di 17 anni che si è presa un anno sabbatico dalla scuola per riempire le piazze delle principali città del mondo, in Italia non raccoglierebbe un voto. O, quantomeno, i Verdi italiani, finora, sono stati fanalino di coda in tutte le tornate elettorali. L’Italia è l’unico Paese a non avere nemmeno un rappresentante ecologista a Bruxelles e i Verdi sono fuori dal Parlamento italiano dal 2008.

Alle ultime elezioni Europee si sono presentati in alleanza con Possibile dell’ex dem Pippo Civati, il quale si è sfilato dal cartello elettorale ‘Europa Verde’ dopo che ha scoperto che alcuni esponenti ambientalisti provenivano dalla destra estrema. Risultato? 2,3% che, raffrontato al 20,5% dei verdi tedeschi o al 15% dei belgi e degli irlandesi, appare una cifra davvero ridicola. Il risultato più alto mai raggiunto dai verdi italiani risale al secolo scorso: 2,5% e 28 parlamentari eletti (14 senatori e 14 deputati) nel 1996. Alle Politiche del 2018, invece, i verdi facevano parte della lista ‘Italia Europa Insieme’ che comprendeva anche i socialisti e i prodiani. Un gran fritto misto che ottenne appena lo 0,6%. Dato per perso tutto il mondo dei No Tav e considerando che la maggior parte dei ragazzi che hanno partecipato ai ‘Friday for future’ italiani sono minorenni, il bacino elettorale da cui può attingere consensi il nuovo Pd di Zingaretti sembra grande quanto uno di quei bicchieri di plastica da caffè che Greta vorrebbe mettere fuori produzione.

LeU, gli unici interessati al progetto zingarettiano

Poi c’è tutta la galassia di sigle che compongono LeU, il cartello elettorale dei bersaniani e dei dalemiani che lasciarono il Pd in contrasto con le politiche di governo di Matteo Renzi. Tutta gente che, ora, non vede l’ora di ‘ritornare a casa’, soprattutto se dovesse passare una legge elettorale proporzionale con uno sbarramento al 5%. L’unica un po’ scettica sull’operazione è il presidente del gruppo misto a Palazzo Madama, la senatrice Loredana De Petris, esponente di Sinistra Italiana, guidata fino allo scorso giugno dal deputato Nicola Fratoianni. Ancora più a sinistra si trovano altre formazioni politiche che, allo stato attuale, non entrerebbero neppure nel “partito nuovo” che sogna Zingaretti. Stiamo parlando del Partito Comunista dell’ex deputato Marco Rizzo e di Potere al Popolo!, una lista guidata dall’ex sindacalista Cgil Giorgio Cremaschi che riuniva vari partiti della sinistra antagonista e che pare si sia già disgregata. Tutte realtà politiche che nascono in opposizione al Pd e che, in ogni caso, nel segreto dell’urna, raccolgono a stento l’1%.

Il 'partito dei sindaci'? Una mossa per coptare i renziani

Vi sono, poi, come dicevamo, delle forze già presenti nell’attuale Pd, come il ‘partito dei sindaci’. Qui siamo veramente al paradosso. Zingaretti vorrebbe fare un soggetto politico aperto ai primi cittadini provenienti dalla società civile, ma eletti principalmente grazie ai voti dell’attuale Pd. Basti pensare a due nomi su tutti: Beppe Sala e Giorgio Gori, sindaci ‘indipendenti’ scelti da Renzi e critici verso Zingaretti. Il primo cittadino di Milano, sentendo parlare di Pd 2.0, ha subito avvertito: “Basta che non sia un’operazione di facciata”, mentre il sindaco di Bergamo è stato indicato come possibile sfidante dell’attuale segretario in caso di un nuovo congresso in quota 'base riformista', la corrente dei renziani rimasti nel Pd. Oltre a Sale e Gori, ci sono da segnalare il sindaco di Firenze, Dario Nardella, e quello di Bari, Antonio De Caro, presidente dell’Anci, due personalità importanti nella geografia politica del Pd e molto vicine a Renzi. Zingaretti, siamo chiari, quando dice di volere aprire al ‘partito dei sindaci’, sta semplicemente cercando di lanciare un’Opa sugli unici esponenti della minoranza interna che hanno un briciolo di consenso elettorale. L’altro, unico, vero partito dei sindaci, infatti, è ‘Italia in Comune’, fondato dall’ex grillino Federico Pizzarotti che, in Emilia-Romagna, sostiene la corsa del governatore Stefano Bonaccini. Un partito che, alle ultime elezioni Europee, si è presentato insieme ai radicali di +Europa e che non ha eletto alcun rappresentante.

Nuovo Pd, uno specchietto per le allodole grilline?

Già, +Europa, ‘l’ala destra’ della sinistra italiana. Pardon, l’ala riformista, nella quale ritroviamo anche Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda. L’unica area politica alla quale Zingaretti sembra non voler guardare, sebbene sia fermamente intenzionato a chiedere la revisione dei decreti Sicurezza (chiesta a gran voce dai liberal) non appena si terrà la verifica di governo col M5S. Un’area politica che verrebbe lasciata totalmente scoperta aprendo così “una prateria” per Renzi. Cosa rimane, dunque? Un Movimento Cinque Stelle in liquefazione e in caduta libera nei sondaggi. Tutti i principali sponsor di Zingaretti, da Goffredo Bettini a Dario Franceschini, spingono per un’intesa col M5S, ma, dal momento che la nuova legge elettorale sarà smaccatamente proporzionale, qualsiasi tipo di alleanza si formerà in Parlamento solo dopo il voto. A meno che l’idea, tenuta nel cassetto, non sia quella di presentarsi alle urne con un unico, nuovo soggetto politico che includa ‘i grillini giallorossi’ o, addirittura, l’intero M5S, depurato dai vari Paragone, Di Battista e Di Maio.

Ovviamente con Giuseppe Conte candidato premier della nuova coalizione di centrosinistra. Fantapolitica? Forse, ma fino ad agosto nessuno si sarebbe mai immaginato un governo Zingaretti-Di Maio-Renzi perciò tutto è possibile in questa pazza ‘Terza Repubblica’.

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