Una sinistra schiava dei propri riti. In questi giorni non poteva mancare il tam tam sulla candidatura alle europee di Paolo Berizzi, il giornalista che scova fascisti pure nel cappuccino. Oppure quelli sulle candidature di un pacifista cattolico come l'ex-direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, e di un'altra antifascista doc come Ilaria Salis, per la verità forse l'unica che ne avrebbe davvero bisogno visto che ha a che fare con un sistema giudiziario infame come quello ungherese. Tutte persone stimabilissime, va detto subito, ma i cui nomi rispondono a quella logica dei rituali che di frequente ispira l'attuale vertice del Pd. Come pure alla categoria dei sacrifici per i quali il Pd si immola sull'altare della tradizione appartengono le mozioni di sfiducia a raffica contro esponenti del governo il cui esito è scontato ma che rendono vivo il legame con il passato. L'importante non è spedire a casa i ministri Matteo Salvini o Daniela Santanchè ma dar vita a quelle danze tribali nelle aule parlamentari che piacciono tanto al popolo di sinistra. Altrimenti non si capirebbe perché si presentano dei documenti di sfiducia quando mancano i presupposti e le condizioni per centrare l'obiettivo: a sinistra, ad esempio, ci sono estimatori ben più devoti a Vladimir Putin del leader della Lega, gente che lesina da sempre gli aiuti all'Ucraina quando il Carroccio non ha mai fatto mancare i propri voti (basta pensare ai 5stelle o a Fratoianni e compagni); e, di seguito, già solo l'idea di far dimettere un esponente di governo prima addirittura di un rinvio a giudizio, come nel caso del ministro del Turismo, fa a botte con qualsiasi concetto di garantismo.
Le uniche ragioni sono il richiamo della foresta, la voglia di collegarsi alla memoria, quel bisogno d'identità che sono la forza ma al tempo stesso il limite, il recinto di questa sinistra: i rituali servono a tenere insieme il 15-20%, se si parla del Pd, o il 15% se si pensa ai 5stelle, ma nel contempo sono la gabbia che impedisce loro di andar oltre, di puntare più in alto perché motivano i propri elettori ma tengono lontano gli altri. Inoltre sono riti che appartengono più al costume della sinistra radicale, magari al grillismo, che non a quella riformista e, uso un'espressione ormai in disuso da quelle parti, liberale. Anzi per alcuni versi la uccidono. E fa una certa impressione constatare che la mozione contro Salvini sia stata presentata da Azione, cioè da una forza che si richiama anche ai valori liberali.
Questi comportamenti che danno sicurezza alla sinistra, la condannano, nei fatti, ad essere minoranza, perché fanno risaltare ancora una volta l'assenza, la lacuna di un'area moderata, più riformista in quello schieramento, più connessa con il futuro che non con il passato. Sono consuetudini che dimostrano la sua forza e nel contempo la sua debolezza perché la condannano non a coltivare la tradizione ma ad esserne succube, a vivere di deja vu. In più innalzano barriere nel Paese, alimentano, appunto, un'idea tribale della politica: impediscono che esista un patrimonio comune, una Storia condivisa. Fra un po' avremo due anniversari importanti come la festa di liberazione del 25 aprile e la festa dei lavoratori del primo maggio. Si può star sicuri che anche quegli appuntamenti saranno festeggiati a sinistra con la solita liturgia, non per unire ma per additare al proprio popolo gli avversari di oggi descritti con le sembianze del passato. Per alimentare polemiche e per comminare scomuniche. È una costante, immancabile, che da quelle parti non si può abbandonare. Quest'anno sarà anche peggio visto che queste due scadenze precederanno di poche settimane il voto europeo.
Per cui sarei contento di sbagliare ma si può scommettere che lo scontro sarà ancora più violento. E il cruccio vero, la realtà per alcuni versi sconfortante, è che questi riti oltre a non far crescere la sinistra, non fanno crescere neppure il Paese. Rendono anch'esso schiavo del passato.
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