Giuseppe Conte e Letizia Moratti. Il premier dei decreti sicurezza e la berlusconiana di ferro. Con il Pd senza un leader e in attesa di una lunga fase di transizione, le opposizioni guardano agli avversari di un tempo. A parlare sono due ex leader del centrosinistra, che da posizioni diverse invitano i dem allo sbando a dialogare con Conte e Moratti. Non proprio due figure della storica galassia progressista. Uno, all'epoca del governo con la Lega, era Giuseppi, il premier populista, pupillo di Donald Trump. L'altra era un'icona del berlusconismo, contestata dalla sinistra persino durante i cortei del 25 aprile, fischiata e cacciata dalle manifestazioni insieme al padre, partigiano «bianco» deportato nel campo di concentramento di Dachau.
Mentre al Nazareno agonizzano, Renzi e D'Alema tracciano convergenze parallele. Ed ecco il leader di Italia Viva, pronto ad approfittare delle dimissioni di Moratti dalla Giunta regionale della Lombardia. «Se io fossi segretario del Pd, chiamerei di corsa Moratti e le direi andare insieme», il consiglio non richiesto del senatore di Rignano. Nel frattempo si susseguono le indiscrezioni sulla candidatura dell'ex sindaco di Milano alla presidenza della Regione Lombardia in quota Terzo Polo. Carlo Calenda si dice «certo che Moratti in futuro potrà dare un contributo positivo nella politica regionale o nazionale». Dall'universo progressista corteggiano colei che era stata soprannominata «Mestizia» da giornali e politici di sinistra. Calenda provoca: «Mi pare che il Pd non abbia una esclusione sulla Moratti».
Dal Pd inseguono con le smentite. «Moratti non è un'opzione», dice il segretario dei dem lombardi Vinicio Peluffo. Anche il sindaco di Milano Beppe Sala si smarca: «Sarebbe difficile spiegarlo agli elettori». Ma qualcuno apre. «Se Moratti si smarcasse dal centrodestra il Pd dovrebbe fare importanti valutazioni», diceva due settimane fa il capogruppo dem al Pirellone Fabio Pizzul. «Una sua candidatura non può lasciarci indifferenti», riflette il deputato lombardo Gian Antonio Girelli.
Da Renzi a D'Alema. Il primo premier ex comunista torna sul tasto dolente del rapporto con Conte. Lo fa in un'intervista a La Repubblica, giornale di riferimento del centrosinistra. «Conte è progressista, il Pd deve dialogare con il M5s», spiega D'Alema. Che ricorda che «una parte dei progressisti ha scelto Conte» e invita a «ricostruire un dialogo e una prospettiva» con i Cinque Stelle. Quindi conferma: «Sento Conte». L'alleanza tra dem e grillini è naufragata dopo che l'avvocato ha propiziato la caduta del governo di Mario Draghi. D'Alema giustifica il leader grillino: «Non aveva tutti i torti a sollevare i problemi che sollevò». Parole che rimbombano nelle stanze del Nazareno, dove non mancano i sostenitori di un ritorno dei giallorossi.
Un revival che potrebbe avere come palcoscenico il Lazio, regione in cui Pd e M5s hanno governato insieme durante la Giunta di Nicola Zingaretti. E in vista del voto alle regionali di gennaio i vertici dem locali avrebbero chiesto a Conte di scegliere un candidato non divisivo da appoggiare insieme.
Ma fonti del Nazareno rilanciano sulla candidatura dell'ex assessore alla Sanità di Zingaretti Alessio D'Amato, profilo gradito sia al M5s sia al Terzo Polo. Mentre in Lombardia il Pd punterebbe su Carlo Cottarelli, che ha già detto di essere pronto a correre. D'Alema e Renzi permettendo.
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