La sinistra si dice "femminista" ma infanga le donne del centrodestra

Giornali come "Repubblica" si dedicano alla tutela della condizione femminile, ma mettono alla gogna le avversarie politiche. Ora provano a distruggere Marta Fascina dopo la mamma della Meloni

La sinistra si dice "femminista" ma infanga le donne del centrodestra
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Lo schema è sempre lo stesso. Sono state alla corte del Cavaliere, o, quasi peggio, hanno una parentela con Giorgia Meloni, o sono vicine a qualcuno che era contiguo ai potenti del centrodestra. Motivo più che sufficiente per accendere i riflettori su di loro, scrutarne rughe e debolezze, coglierne legami anche solo affettivi con i leader, con Silvio e Giorgia, e passare rapidamente alla gogna. Basta un nome, forse nemmeno quello, per essere costrette a salire sulla giostra.

Si sa, le cattedre del femminismo sono laboratori in cui si allestiscono gogne adatte a questi tempi. Quindi dal pulpito dell'indignazione permanente si indicano col ditino donne e ancora donne e pazienza se grandi quotidiani progressisti, come Repubblica, hanno costruito un capitale di autorevolezza sulla difesa della condizione femminile.

Quella di tante signore, certamente, ma non di quelle che hanno avuto il torto di schierarsi o semplicemente di appartenere a famiglie che sono storicamente dall'altra parte. Con Marta Fascina, compagna di Silvio Berlusconi nell'ultima parte della sua vita, ad esempio si può comodamente fare un'eccezione. Ieri il giornale fondato da Eugenio Scalfari dedica due pagine, uno sproposito, per affrescare un ritratto in scuro scuro - il chiaro se lo sono scordato - in cui si accatastano i bonifici ricevuti, i silenzi ostinati, una certa audacia sfrontata.

Non si tratta di contrapporre un'agiografia a una biografia da verbale di cronaca giudiziaria, ma di uscire dai soliti luoghi comuni attraversati da un feroce disprezzo. E invece no, le opere di Fascina corrono interminabili per due pagine per essere poi rinchiuse nella cassaforte dell'antiberlusconismo: «Partecipa alle cene eleganti come documenta il libro mastro delle ospiti dell'ex premie... Marta è a corte e intraprende il percorso previsto dal protocollo del Sultano».

Si chiama distruzione della reputazione, character assassination per dirla all'inglese e d'altra parte se te la vedi col Sultano al massimo sei una cortigiana e il femminismo non può essere per quelle come te. Il tutto con il solito corredo di gentilezze: il riferimento al libro mastro che fa tanto Totó Riina e apre altri percorsi virtuali fra i presunti misteri della reggia di Arcore, e poi quelle citazioni obbligate di Veronica, causalmente valorizzata come profetessa dell'antiberlusconismo con vista su Arcore.

Così una storia umana e politica con i suoi alti e i suoi bassi, i suoi limiti e i suoi pregi è ridotta a volgare ciarpame.

Del resto tutti ricordano la vignetta esibita come un trofeo in prima pagina dal Fatto: qui veniva calpestata la vita privata di Arianna Meloni, colpevole due volte. Come sorella di Giorgia e poi come moglie del ministro Francesco Lollobrigida.

È una vecchia storia che si ripete: per sbarrare la strada ai vincitori di oggi, si scandagliano cerchi magici, madri, figlie, sorelle. Tutto va bene, per colpire: è la parità di genere, al contrario. Ecco Anna Paratore, la madre di Giorgia, costretta dalle vicissitudini familiari a una vita faticosa, periferica, problematica, uno slalom per sopravvivere in una Roma cinica e indifferente. Ci sarebbe materiale per costruire una piccola epopea del riscatto, con quelle due bambine, Giorgia e Arianna, abbandonate dal padre e costrette perfino a condividere lo stesso letto, per mancanza di spazi. E invece è molto più raffinato seminare dubbi, far balenare loschi affari, cercare qualche bugia, o almeno imperfezione, nel racconto dei protagonisti.

È andata davvero così o c'è qualche peccato, non originale ma successivo, da farsi perdonare fra un tornante e l'altro? Adesso tocca pure alla sorella di Galeazzo Bignami, viceministro già bersagliato da Fedez.

Ora con rinnovato furore lo apostrofa, sempre su Repubblica, Michele Serra, un principe della penna che già che c'è mette in mezzo pure la sorella: «Il Bignami è un fascista, di famiglia fascista (una sorella si chiama Maria Runa: ci saranno anche il cugino Odino e la cugina Valchiria?)». Ecco fatto, siamo alla colpa di genere. I sacri principi vanno rispettati, ma solo se sei di là. Per le altre, solo dileggio. Chapeau.

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