I loro figli sono rimasti sotto le macerie di un edificio nel centro storico dell'Aquila crollato per il terremoto del 2009, ma non avranno alcun risarcimento perché secondo i giudici quei giovani sono morti per la loro condotta incauta e non perché rassicurati dalla Protezione civile.
La Corte d'appello del capoluogo abruzzese ha respinto sette ricorsi delle parti civili sui decessi del disastroso sisma di 15 anni fa, confermando la sentenza di primo grado riguardante il crollo del palazzo di via Gabriele D'Annunzio 14, dove ci furono 13 vittime. I sette ragazzi deceduti, dunque, non sarebbero stati condizionati dalle parole della Commissione Grandi Rischi, che è stata già assolta da ogni colpa, ma avrebbero deciso in autonomia di restare a casa durante lo sciame sismico che precedette la devastante scossa del 6 aprile.
Dopo aver condannato in primo grado sei scienziati della Commissione che prima del terremoto avevano lanciato messaggi rassicuranti ai cittadini, il Tribunale dell'Aquila li aveva assolti in appello ad eccezione di Bernardo De Bernardinis, l'allora vicecapo della Protezione civile, che aveva presieduto la riunione. Per i giudici di secondo grado chiamati a pronunciarsi sui risarcimenti non ci sarebbero prove certe delle rassicurazioni in relazione alla condotta dei giovani, pertanto mancherebbe il cosiddetto «nesso causale» per attribuire responsabilità di natura civile.
Significativo, in tal senso, quello che la Corte d'Appello scrive a proposito di una delle vittime, lo studente di Frosinione Nicola Bianchi, il cui padre Sergio si batte da anni per avere giustizia. È intorno al suo caso che ruotano tutti gli altri. Già in primo grado i giudici avevano riconosciuto addirittura il cento per cento di colpa alla vittima: il giovane avrebbe saputo di vivere in un edificio poco sicuro e sarebbe comunque rimasto in casa per poter sostenere un esame all'indomani. Inutile l'appello proposto dalla famiglia. Anche in secondo grado il collegio giudicante ha respinto l'istanza, assieme a quella di altre sei parti, tutti studenti universitari che abitavano nello stesso stabile crollato. Secondo l'interpretazione choc dei giudici, che ai familiari non può non suonare come una beffa, i sette ragazzi non sarebbero morti perché rassicurati e dunque indotti a rimanere nei loro alloggi dalla Protezione civile attraverso la Commissione Grandi Rischi, ma per una sorta di loro condotta incauta.
Dunque non solo non saranno risarciti, ma dovranno pagare quasi 14mila euro di spese legali. La battaglia legale si sposta ora in Cassazione. «Come si può demandare la sicurezza ad un ragazzo di 22 anni?», si chiede Sergio Bianchi.
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