Borse e analisti non stanno più nella pelle davanti alla riforma delle banche popolari impostata da Matteo Renzi su ordine della Bce: con la cancellazione entro 18 mesi del voto capitario - il decreto legge del governo riguarda i dieci istituti con almeno otto miliardi di asset - le cooperative diventeranno società per azioni «scalabili». Saranno public company alla mercè dei fondi di investimento e dei private equity. Dove pure l'ex sindaco di Firenze, come noto, conta buoni amici come quel Davide Serra, gruppo Algebris, leopoldino» e suo finanziatore.
I Signori del credito cooperativo preparano le contomosse: non si esclude di impugnare lo stesso ricorso allo strumento del decreto legge, visto che non si ravvisa l'estremo dell'«urgenza». Le banche messe in ginocchio dagli stress test della Bce sono Mps e Carige, che - si dice tra le coop - Renzi vuole ora salvare con il consolidamento. L'esito della crociata anti-popolari dipenderà però dai decreti attuativi e dal Parlamento, dove le mutue hanno agganci bipartisan e sono più volte riuscite a fermare la valanga. Ogni riforma di Renzi ha creato scompiglio nell'Italia dei salotti e delle corporazioni, a partire dal Jobs Act sull'articolo 18. Questa volta il colpo di mano del premier mette tuttavia in discussione un modo di fare credito. Quello che, sotto la bandiera del localismo, fa del rapporto stretto con famiglie e piccole imprese il suo punto distintivo; a volte con qualche concessione di troppo alla politica e all'associazionismo.
Malgrado il cambio di passo manageriale, financo i consigli delle due big, Ubi Banca e Banco Popolare, appaiono costruiti con il bilancino: la prima, dopo il regno di Emilio Zanetti, ha come presidente del Cds l'imprenditore delle vernici ed ex vicepresidente di Confindustria, Andrea Moltrasio. Al tavolo siedono poi gli ambasciatori dei territori dove Ubi è presente, e la matrice locale aumenta nelle banche reti in cui si articola.
Il Banco Popolare, presieduto da Carlo Fratta Pasini - altro decano delle coop come il presidente del Creval, Giovanni De Censi - ha invece come vicepresidente l'ex di Coldiretti, Guido Castellotti. Nel board siedono poi imprenditori veneti come il creatore di Calzedonia, Sandro Veronesi. Se la scarsa «freschezza» dell'anagrafe accomuna banche Spa e mutue, queste ultime sono state spesso plasmate con pochi controlli a valle: alle assemblee partecipa una piccola frazione dei soci, tra cui i dipendenti. Fino al caso limite della vecchia Bpm, da cui era partita la crociata di Bankitalia, allora guidata da Draghi, per annientare l'ingerenza dei dipendenti-soci sulla governance. E la stessa campagna elettorale che ha eletto presidente l'ex ministro Piero Giarda aveva l'appoggio di sindacati e Confartigianato. Più dei ragionamenti valgono tuttavia i bilanci: l'intero sistema delle popolari italiane (comprese le minori) eroga un quarto dei prestiti a famiglie e imprese (385 miliardi) con 9.248 sportelli, ha 12,3 milioni di clienti e dà lavoro a 81.700 addetti. Un vuoto che difficilmente sarebbe colmato dal resto del sistema, visto la stretta degli stress test; senza contare il «dividendo» che le popolari assicurano al territorio con le sponsorizzazioni. Piaccia o no è il Dna del credito mutualistico, storicamente vicino alla Dc, ai mestieri, al mondo contadino e cattolico moderato. Il centro sinistra coltiva, invece, il giardinetto nelle coop rosse, ma ha anche visto il Pd senese maltrattare il Monte Paschi fino al dissesto. Quella toscana è quindi la riprova di come la malagestio non sia imputabile a un modello sociale ma agli uomini, come era accaduto all'ex Popolare Lodi di Gianpiero Fiorani.
Tra i signori delle popolari, sotto la consegna del silenzio, si respira malessere non tanto per la necessità di una riforma, cui la stessa
Assopopolari sta lavorando lento pede . Ma per i modi da rottamatore di Renzi: il comitato direttivo dell'Abi ha tempestato di domande l'ospite d'onore Ignazio Visco. Le coop faranno di tutto per non pagare le colpe altrui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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