Soffia il vento di centrodestra. Quella fila per salire sul carro

I moderati corrono da Berlusconi. Cesa (Udc): Renzi mi voleva con la sinistra, io gli ho risposto "sei matto?"

Soffia il vento di centrodestra. Quella fila per salire sul carro

Prima scena. Il nome Giacomo Portas è sconosciuto ai più, ma nel Palazzo è di casa. È un centrista, ha un suo movimento in Piemonte con il simbolo «moderati» che fa gola a molti (l'espressione è di moda) ed è sempre stato eletto in alleanza con il Pd. Ora, però, ha una tentazione: cambiare casacca. «Io vorrei stare con Renzi - confida -, ma i miei non vogliono. Sanno che restando alleati con il Pd perderemo tutti i Comuni e presto anche la Regione Piemonte. Per cui debbo assecondarli, ma dal Cavaliere non arrivano segnali. Il rischio è che di là ci vadano gli elettori senza di noi: ancora un anno fa i miei amici imprenditori pagavano mille euro ciascuno per cenare con Renzi, ora vogliono solo Berlusconi». Seconda scena. A passeggio per via dei Prefetti, a due passi dalla Camera dei deputati, Lorenzo Cesa, l'uomo che ha divorziato da Pierferdinando Casini (per anni in politica sono stati una coppia di fatto) per portare l'Udc di nuovo alla corte del Cavaliere, si lascia andare ad una confidenza. «L'altro giorno - racconta - mi ha telefonato Renzi e mi ha chiesto di andare in coalizione con lui. Gli ho risposto: Matteo, ma che stai a scherzá!? Ma che sei matto!? Io resto di qua. Mi sembra un po' sfasato e non penso che punti più a vincere, ma semmai a portare in Parlamento 150 fedelissimi deputati e il corrispettivo in senatori, per ritagliarsi un ruolo tutto suo». Terza scena. Alla buvette del Senato c'è un Roberto Formigoni fuori di sé. Lui vuole tornare nel centrodestra, ma Maurizio Lupi, il reggente dei superstiti che ebbero la disavventura di seguire Alfano, gli dice una volta «sì» e un'altra «nì». «Ora, però, bisogna decidere - si sfoga -, non è che aspettano noi. Io sicuramente vado di là, con Albertini e il 90% del partito in Lombardia. A Lupi ho detto: Se tu tergiversi per avere un collegio sicuro dal Pd, magari a Vibo Valentia, ricordati che dovrai prenderci pure la residenza, perché non potrai più farti vedere a Milano. C'è un limite a tutto. Ma non vedi che c'è un vento di destra nel Paese e se non ci sbrighiamo non andiamo da nessuna parte, perché Berlusconi non ha bisogno di cercare alleati, semmai ha un problema di abbondanza».

Sono scene da quel segmento della politica italiana, l'area di centro, la più sensibile alle scosse che modificano gli equilibri nel Paese. Da quelle parti hanno una sorta di sesto senso per capire in anticipo chi vincerà le elezioni e chi gli può assicurare uno strapuntino al governo. Sono una sorta di pendolo che si sposta a destra o a sinistra a seconda degli umori del momento. I primi ad assecondare un particolare fenomeno che in America chiamano to jump on the bandwagon, saltare sul carro del vincitore, e che ha eletto l'Italia come seconda Patria. Qualcuno dirà: ma mancano più di tre mesi alle elezioni? Certo, ma proprio quando si mettono in piedi le coalizioni si capisce dove sta andando il Paese.

Ebbene, se sul versante del centrodestra c'è la fila e i potenziali candidati sgomitano, su quello del Pd c'è il deserto: per trovare alleati Renzi deve usare i metodi di arruolamento della marina inglese nell'800. Con fatica sta mettendo in piedi tre liste alleate. In quella centrista ci sono Casini, Delai e Alfano. «Ma Angelino sta lì - sussurra maligno Paolo Naccarato, conoscitore del palazzi romani - perché il Cav proprio non lo vuole». Mentre più perfido Mario Mauro, ex montiano tornato in tempo in Forza Italia, si lascia andare ad una profezia: «Pierferdy prepara il cammino a ritroso: farsi eleggere dalla sinistra per governare con il centrodestra. Un classico». Ci sarebbero pure i verdiniani, ma non vogliono avere nulla a che fare con Casini e Alfano. «Noi una lista con quelli mai - taglia corto Riccardo Mazzoni - , per cui c'è il rischio che si resti a casa: non so se Renzi avrà il coraggio di allearsi con noi e sfidare chi lo accuserà di aver sostituito Bersani con Verdini...». A parte i centristi, Renzi può contare sui radicali di Della Vedova, che confidano nell'adesione della Bonino. E sul versante di sinistra? C'è Pisapia e il fido Tabacci con i suoi 700 voti; Grasso, è finito, invece, su D'Alema; mentre la Boldrini prima di essere della compagnia vuole ancora capire che aria tira. «Dai nostri conti - azzarda un renziano doc come Andrea Marcucci - i nostri alleati dovrebbero portarci 4 punti e mezzo». Ma più di rifarsi alla matematica, sembra rifugiarsi nella speranza: a prima vista sembra un folto gruppo di generali, o supposti tali, senza truppe. «La verità - spiega Enrico Buemi, ultimo socialista eletto nelle fila dei democratici - è che il Pd sta precipitando. I sondaggi che hanno gli danno il 20%. Sono terrorizzati anche quelli del Giglio magico. E meno male che c'è Berlusconi a fermare i grillini».

Già, il teorema Scalfari fa proseliti a sinistra. «Tutti lavorano per far vincere Berlusconi - osserva sconsolato Fabrizio Cicchitto, uno degli ultimi mohicani di Alfano -, che vincerà malgrado i suoi errori. Basta pensare alla legge elettorale che Renzi si è inventato!». Appunto. E Renzi? A chi gli prospetta il pericolo del to jump the bandwagon, il segretario risponde solo con una lezione di training autogeno: «Noi siamo più forti!».

Sarà, ma se nel centrosinistra è tempo di vacche magre, sul versante del Cav è periodo di vacche grasse, che rischiano di diventare obese. A parte gli alleati storici - Lega e Fratelli d'Italia - la quarta gamba del centrodestra sta crescendo a dismisura. La prossima settimana dovrebbe avere i natali: ci sarebbe Costa, l'ex leghista Tosi, i resti di Scelta civica, Fitto, il siciliano Saverio Romano, il gruppo di Quagliariello e l'ultimo vagone di ritorno di quelli che furono i seguaci di Alfano. Ma da quadrupede il centrodestra potrebbe diventare addirittura un animale a sei gambe: Tremonti e Sgarbi vogliono una lista per conto loro; in più c'è voglia di schierare nella coalizione anche il vecchio simbolo scudocrociato. «Vale due punti da solo - spiega il nostalgico postdemocristiano Gianfranco Rotondi -, per cui potrebbe esserci una lista che metta insieme il mio movimento e l'Udc di Cesa. In questo modo potremmo dare un'ulteriore rifugio ai tanti ex di Forza Italia che stanno rientrando a casa e il cui ritorno rende nervosi quelli che non se ne sono mai andati». L'allargamento dell'area moderata sta rendendo nevrotico pure Salvini, che vede, piano piano, il baricentro della coalizione spostarsi verso il «centro».

Tant'è che il leader leghista ha cominciato a scomunicare Scelta civica e ha in mente di ripetersi con Tosi. Una posizione opposta a quella del Cav. «Rammento a tutti - è la filosofia che anima Niccoló Ghedini nel ricordo del passato - che il centrodestra ha perso elezioni per ventimila voti».

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