Magari, a trovarsele di faccia sul serio, le piazze non sono poi così entusiaste del Principe. Magari incontrare gente in carne e ossa, e non l'ossequioso fantasy dei talk show , cambia umore e prospettiva. Oppure c'è di mezzo la scaramanzia. Presumibilmente un po' di tutto questo, e il calcolo bottegaio di partire dal minimo ribasso per far risaltare quel che viene in più. Fatto sta che Matteo Renzi s'è accorto che le Regionali non saranno un passaggio su uno dei Tg Rai, dove vige l'usanza d'accoglierlo in ginocchio.
Era partito con toni trionfalistici che dovevano ringalluzzire la truppa, del genere: vincere e vinceremo, non vogliamo lasciare neppure le briciole a nessuno. Via via però il cammino s'è andato lastricando di ostacoli e buche: alcune scelte si sono rivelate errori madornali, altre si sono dimostrate ripiegamenti obbligati e scivolosi (vedi Campania). A questo s'è aggiunta l'irritazione del Paese reale di fronte alle carenze di un governo lieve e superficiale come i cinguettii renziani. Professori, operai, impiegati pubblici, partite Iva, professionisti e imprenditori: il malcontento monta più di quanto il premier avesse previsto. Risultato: un assestamento di bilancio previsionale, più o meno come quelli cui siamo abituati sui dati economici, con in più il terrore di ripercussioni sulla poltrona di Palazzo Chigi. «Al governo non cambia niente nessun risultato - premette Renzi al Secolo XIX -. Fosse un 4-3 sarebbe comunque una vittoria per il Pd, ma credo che andrà meglio. E poi per noi amanti del calcio il 4-3 evoca ricordi fantastici, con il piattone di Gianni Rivera e la Germania eliminata». Ora, a parte che la Germania è sempre lì, con il fiato sul collo e nient'affatto eliminata, anche il resto della similitudine è sballata. Anzitutto perché si parte da un 5-2, con quattro Regioni intoccabili «roccheforti rosse» (Liguria, Toscana, Marche e Umbria) e una, la Puglia, nella quale il centrodestra si è presentato ultradiviso, praticamente in versione harakiri . Così la speranzella accarezzata da Renzi era quella di prendersi la Campania, tanto da acconciarsi a un candidato scomodo ma dato per ultravincente, e di giocarsela in Veneto con un battage a tappeto per la bela Rosìn , al secolo Alessandra Moretti.
La realtà, ancora una volta, ha infranto i sogni a occhi aperti del premier. Assodato che in Veneto la cavalcata delle «renzine» di nuovo corso s'è azzoppata sul nascere, e che in Toscana e Umbria continua a non esserci gara, il Pd renziano s'è però accorto d'arrancare persino nelle Marche e in Puglia. Il risultato campano, invece, è ancora sul filo di lana, con l'insperata rimonta di Caldoro - determinata in parti uguali dalle gaffe di De Luca e dalla consapevolezza che il governo s'è del tutto dimenticato del Sud.
Ecco così che la vera linea di confine tra vittoria e sconfitta per Renzi passa per la Liguria. L'impegno del premier per la sua protetta Raffaella Paita è senza precedenti e poggia ormai, come nelle peggiori stagioni dell'Ulivo, sugli appelli al «voto utile». «Nella sinistra c'è chi preferisce veder vincere Berlusconi piuttosto che far vincere il Pd. È già accaduto in passato: Luca Pastorino, sindaco eletto dal Pd, parlamentare eletto dal Pd, oggi è l'unica speranza per Forza Italia, è il più fedele alleato di Berlusconi, una sorta di Bertinotti 2.0. Del resto, chi lo appoggia, come Vendola, ha già fatto il capolavoro di uccidere il governo Prodi...».
Argomenti triti e ritriti, nulla di nuovo sotto il sole se non i dati che danno in forte ascesa il forzista Toti. Dunque, la paura di perdere dove mai ce lo si sarebbe aspettato. Dal Grande affabulatore ci si aspetterebbe però qualcosa di meglio. Dai, Matteo. Spremiti le meningi, dacci almeno un tweet meno scontato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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