Sola. Nella vita e nella morte

Attorno a quella cassetta bianca che avvolge Diana c'è un curioso senso di vuoto, di tolto, come se ci fosse un buco non sappiamo dove

Sola. Nella vita e nella morte

Una bara così piccola dovrebbe essere avvinghiata dallo strazio di una madre. E di un padre. Che si rifiutano di lasciare andare chi c'è dentro. Invece attorno a quella cassetta bianca che avvolge Diana c'è un curioso senso di vuoto, di tolto, come se ci fosse un buco non sappiamo dove. O forse non c'è proprio niente di curioso nell'addio solitario alla creatura più abbandonata che abbiamo mai conosciuto. «Sola».

È ciò che grida quella bara in mezzo a una chiesa gremita di estranei. Ci sono i nonni, è vero. Ma per qualche ragione non bastano. Non sono bastati a salvarla e non sono sufficienti a salutarla. C'è un sacco di gente ma non c'è nessuno, davvero, per lei. E sorprende come venga voglia di mettere al riparo un oggetto inanimato e irreversibile quanto una bara. Ma è esattamente quello che viene voglia di fare. Perfino le quattro assi bianche che la chiudono dentro mettono tenerezza. La tenerezza... Chissà se è passata un istante nella vita di Diana, se c'è passata, è stata una visita brevissima. Per i diciotto mesi in cui è stata al mondo ha dovuto sopportare una pena, un malessere incerto e costante. Fino a quegli ultimi cinque giorni. Ha dormito come gli animali, un sonno intenso, profondo, senza struttura né sottigliezze, senza accudimento. Un sonno che era un ritratto di morte, nella quale alla fine è scivolata per sfinimento.

Per diciotto mesi ha dovuto imparare a difendersi, non a volersi bene né a sentirsene arrivare addosso da qualcuno. Perfino la ricostruzione dell'orrore delle sue ultime ore, non ha reso tanto concreta la solitudine di questa bambina quanto quella bara bianca abbandonata davanti all'altare. Quanto questo funerale pagato dal comune. Quanto tutte quelle lacrime da improvvisa immedesimazione, da tardiva empatia. Lacrime sconosciute a piangere una bambina: l'assurdo nell'assurdo.

Come l'incubo di quella stanza senza luce e senz'aria, piantata lì come una brutta cosa sbagliata a soffocare d'angoscia e di caldo, a piangere inascoltata e poi a smettere di fare perfino quello. Fa male immaginare cosa possa aver pensato Diana della vita per quei diciotto mesi in cui l'ha attraversata.

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