Genova. Saranno i prossimi accertamenti e le analisi sul materiale a disposizione degli inquirenti, compresa una telefonata arrivata al 112 poche ore prima del delitto, a chiarire se gli allarmi lanciati dalla famiglia di Alice Scagni, la 35enne massacrata a coltellate a Genova la sera del primo maggio, siano stati in qualche modo sottovalutati o siano rimasti inascoltati.
Per il delitto è nel carcere di Marassi, il fratello Alberto, 42enne disoccupato accusato di aver colpito almeno 20 volte la ragazza al culmine di un diverbio, dovuto all'ennesima pressante richiesta di denaro avanzata dall'uomo ai familiari. Un agguato sotto casa in via Fabrizi, nel quartiere di Quinto, al quale hanno assistito impotenti diversi testimoni.
La procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per verificare l'ipotesi di omissione di atti d'ufficio e omissione di denuncia, sulla base delle dichiarazioni rese in particolare dalla madre della vittima che, nelle ore successive alla tragedia, ha parlato di richieste di aiuto alle forze dell'ordine da parte della famiglia, fatte per segnalare le condizioni di alterazione del figlio, forse sottovalutate.
La donna avrebbe citato diverse telefonate fatte alle forze dell'ordine tra metà aprile e il giorno del delitto, nel quadro di una situazione sempre più complessa da gestire. Non solo le richieste continue di denaro ma anche l'astio che trapela dalle parole scritte sui social e le manie di persecuzione del 42enne che temeva di essere escluso dall'eredità e di essere spiato con le microspie. E voleva soldi, in quantità sempre maggiori. Una situazione di tensione che aveva spinto la famiglia anche a chiedere per lui un supporto psichiatrico al centro di salute mentale più vicino, quello di Sampierdarena. L'appuntamento era già stato fissato per il 2 di maggio, ma non si è fatto in tempo, per poche ore. Scagni, senza lavoro e con problemi psichici, avrebbe minacciato a più riprese la famiglia nei confronti della quale serbava rancore per questioni di denaro. Soldi chiesti a più riprese anche alla nonna, che vive nello stesso palazzo del quartiere dove viveva l'uomo: l'anziana aveva il sospetto che ci fosse proprio il nipote dietro ad alcuni danneggiamenti alla porta di casa, compreso un tentativo di incendio di poche settimane precedente il delitto, ripicche arrivate proprio in seguito alle richieste di denaro negate dalla donna stessa e da parte dei genitori.
C'è poi una telefonata, allegata agli atti dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere del 42enne: risale al primo pomeriggio del 1 maggio, parte dal padre di Alberto Scagni ed è diretta al 112. Sette ore prima della tragedia l'uomo aveva sollecitato un intervento delle forze dell'ordine dopo aver ricevuto minacce di morte dal figlio. Parole dirette a lui, alla sorella Alice e al marito di lei. Dentro la telefonata un «datemi i soldi o vi taglio la gola» pronunciato dal 42enne verso i parenti, che rafforzerebbe l'ipotesi della premeditazione del delitto, aggravante già ipotizzata dagli inquirenti anche per la modalità dell'aggressione.
Verranno acquisite anche i tabulati con le telefonate indirizzate al numero unico di emergenza di
cui parla la madre di Alice e verranno ascoltati i funzionari intervenuti nel tentato incendio alla porta di casa della nonna di Scagni. Serviranno a stabilire se un intervento tempestivo avrebbe potuto salvare la ragazza.
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