Le solite menzogne (e due cose vere): lo Zar sulla difensiva deve alzare i toni

Le bugie sulle responsabilità della Nato e l'Ucraina come "storica terra russa", e la minaccia infondata di usare armi più potenti. Ma Putin non finge quando dice che non si fermerà e che non cederà alle idee dell'Occidente

Le solite menzogne (e due cose vere): lo Zar sulla difensiva deve alzare i toni

Vladimir Putin costruisce una sua realtà molto fantasiosa sulle vere cause del conflitto in cui si è impelagato in Ucraina, indirizza minacce sul futuro della coesistenza tra superpotenze nucleari e promette che la sua guerra andrà avanti fino all'immancabile vittoria. Il tempo di un'intera partita di calcio, intervallo compreso, per dire poco o niente di diverso dai soliti temi che è ormai costretto a ripetere da molti mesi a questa parte. Visto da Occidente, il discorso del leader russo non offre elementi di novità al di fuori della sospensione della partecipazione di Mosca al trattato Start. Ma è proprio dal nostro punto di vista che è possibile notare forse l'unico sviluppo davvero significativo: l'accentuarsi inevitabile davanti al crescere delle difficoltà di elementi difensivi. Lo «zar» è strategicamente con le spalle al muro ed è costretto ad alzare i toni della retorica del falso assedio cui la Russia sarebbe sottoposta e ad assicurare che non ci sarà nessuna sconfitta: tutto il contrario rispetto all'aggressiva sicumera di un anno fa.

Nel suo discorso Putin è ricorso a palesi falsità. La principale è la pretesa che sia stato l'Occidente a cominciare il conflitto. A suo dire, Mosca avrebbe fatto di tutto per risolvere pacificamente la questione del Donbass, ma ha dovuto usare la forza di fronte all'inganno occidentale: non è andata così, con la sua lettura degli accordi di Minsk Putin puntava a mettere un piede nel governo di Kiev per impedirne l'avvicinamento all'Europa, ma il gioco non gli è riuscito ed è passato a un'invasione travestita da soccorso ai connazionali minacciati dai «nazisti». Ha poi ribadito anche ieri che il teatro della guerra sarebbe «storica terra russa», disprezzando la chiara volontà di chi oggi ci vive. Ha minacciato di respingere una minaccia militare alla Russia che non esiste, mentre appare ogni giorno più chiaro il tragico bluff sulla qualità delle sue forze armate.

Dalla Nato e da Kiev sono giunte chiare risposte. Il segretario generale dell'Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg ha sottolineato di non vedere in Putin, che si è rivolto all'Iran e alla Corea del Nord per rifornirsi di armi, alcuna volontà di pace, ma solo di continuare a lungo la sua guerra. Insieme con il capo della diplomazia Usa Antony Blinken e di quella europea Josep Borrell, ha deplorato «la deludente decisione» di ritirarsi dal Trattato Start. Una scelta abbinata a nuove minacce di Putin sull'uso possibile di armi sempre più potenti, che appaiono però a ben vedere vuote come quella di impiegare in Ucraina il meglio della sua aviazione militare. Il che non avviene non perché Mosca scelga di limitarsi, ma perché teme di vedersela decimare in breve tempo.

Due cose vere Putin ha detto: che non si fermerà (non può, e anche questo è chiaro da un pezzo) e che non intende «cedere alle idee occidentali»: e questo è ancor più credibile. Perché è esattamente contro queste (certo non contro i fantomatici nazisti, utili solo per la sua grossolana propaganda) che ha mandato i suoi uomini a combattere in Ucraina, un Paese che non doveva diventare un'alternativa democratica di successo al suo regime. Ed è per questo che ha cacciato in galera Aleksei Navalny e costretto all'esilio Mikhail Khodorkovskij, gli unici due russi che pur diversissimi sarebbero in grado di contrapporgli una vera alternativa politica.

Poi ci sono i cinesi. Ieri Wang Yi ha confermato con Putin «relazioni solide come la roccia». Logico: la Cina non potrebbe smentirsi dopo un anno di retorica in tal senso, a parte il fatto che l'attuale alleanza diseguale con Mosca è convenientissima per Pechino.

Inoltre, al di là delle difficoltà contingenti, Putin e Xi Jinping condividono l'obiettivo di fondo di sovvertire a proprio favore gli attuali equilibri mondiali. Inutile illudersi: Pechino non proporrà mai un progetto di pace che non convenga al suo alleato, perché danneggerebbe se stessa.

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