È l'altra faccia del «Sistema», la fuga di notizie utilizzata come arma impropria per indirizzare il corso e l'impatto delle indagini giudiziarie. Male atavico e inestirpabile contro il quale si trova ieri a fare i conti Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, che vede la notizia - in teoria segreta - di una nuova indagine a suo carico approdata sulle pagine di due quotidiani. I giornalisti hanno fatto il loro mestiere, chi gli ha passato le carte no. Palamara sembra non avere dubbi: è stata la Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, la stessa Procura che indaga su di lui mentre invece - è notizia di tre giorni fa - decide di archiviare l'inchiesta sulla loggia Ungheria, ritenendo non riscontrate le dichiarazioni del pentito Piero Amara sulla presunta congrega di magistrati, politici e generali. Mentre invece per indagare Palamara le dichiarazioni di Amara vanno benissimo. Nel caso specifico, Amara accusa Palamara di essere intervenuto su un giudice di Cassazione a favore del pm siciliano Maurizio Musco, che era sotto processo per corruzione. Il giudice di Cassazione, Stefano Mogini, interrogato da Perugia, dice che in effetti Palamara gli chiese delle informazioni. E Amara dice che per l'interessamento «Palamara gli fece capire che avrebbe gradito un orologio d'oro da trentamila euro per la sua compagna». Orologio mai arrivato. Ma a Perugia l'inchiesta va avanti.
Il vero problema è che queste carte sono contenute nei quattordici faldoni che la Procura di Perugia ha inviato al giudice preliminare per chiedere l'archiviazione della indagine «Ungheria». Non le hanno gli avvocati, non le ha la polizia giudiziaria, le hanno solo i magistrati. Ieri Cantone comunica l'apertura di una indagine sulla fuga di notizie, sostenendo che la Procura di Perugia è la vera vittima della violazione del segreto, «faremo tutto il possibile per accertare da dove sia uscita». Ma vittima e colpevole potrebbero, se ha ragione Palamara, coincidere. E con quale credibilità la magistratura del capoluogo umbro potrebbe indagare su se stessa?
Non è un caso isolato, negli ultimi decenni tutte le inchieste sulle fughe di notizie sono state condotte dalle stesse Procura dove le fughe erano avvenute, e infatti nessun colpevole è stato mai individuato. Spesso non si trattava di notizie scivolate dal segreto per caso, leggerezza, simpatia, ma di operazioni decise a tavolino con fini precisi. Ieri, dopo lo scoop sui suoi nuovi guai, Palamara va giù pesante: parla di «una giustizia che si serve dei giornali di riferimento per cecchinare il nemico di turno», allo stesso modo in cui «nel maggio 2019 la pubblicazione di intercettazioni non depositate ha consentito a una corrente della magistratura di gestire il potere per quattro anni».
La «manina» che passa le carte ai giornali, sostiene Palamara, non lo fa perché ha a cuore la libertà di informazione ma perché sa che la campagna mediatica è funzionale alla battaglia giudiziaria. Le dichiarazioni di Amara vengono usate «per salvare i processi a mio carico», dice l'ex magistrato, come a Milano vennero usate per cercare di affossare un giudice scomodo e salvare i processi Eni. «Oggi si ripete la stessa storia», dice Palamara.
Il problema è che nessuno sa quante altre storie siano
contenute, pronte ad esplodere, nei faldoni di Perugia che dovevano essere segreti ma evidentemente non lo sono più. Cosa aspetta il ministro Cartabia, chiede alla fine Palamara, a mandare i suoi ispettori nella Procura umbra?
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