"Solo mister Samsung può salvare la mia Mivar"

Carlo Vichi, 94 anni, il patriarca dei televisori simbolo del made in Italy, si gioca l'ultima carta

"Solo mister Samsung può salvare la mia Mivar"

Carlo Vichi, 94 anni, pranza nella mensa della vecchia sede Mivar, ad Abbiategrasso (Milano). Una sala enorme dove i posti a sedere sono centinaia, ma ad essere occupato è solo un tavolo. Sulle sedie (con scivolo integrato) - progettate dallo stesso Vichi - ci sono solo 4 persone: il grande patriarca, sua moglie Anna Maria, la figlia Luisa e Rocco il collaboratore più fidato della «Famiglia Mivar». Una famiglia allargata che, negli anni d'oro di questa fabbrica simbolo dei migliori televisori made in Italy, è arrivata ad occupare mille operai e a produrre 5 mila televisori al giorno.

La signora Anna Maria ha il viso dolce e i capelli bianchi come nuvole; mostra molto meno della sua età, e osserva il marito Carlo con uno sguardo che è un mix di affetto e benevola sopportazione: «Quando nel 2013 la Mivar ha chiuso i battenti, abbiamo tutti sofferto molto. Ma Carlo di più. Per 70 anni ha vissuto solo per la sua creatura e per i suoi operai». A fianco della signora Anna Maria c'è la figlia Luisa che quel padre autoritario, sempre pronto a «parlar bene» di Mussolini e Hitler, non lo perde mai di vista; lo fotografa durante l'intervista al Giornale e fa anche un filmino che prontamente gira sul nostro cellulare. Pochi istanti prima ci siamo seduti a fianco di quello che in paese è considerato da tutti un geniale benefattore.

In oltre 70 anni di attività Vichi ha infatti dato lavoro a oltre 6 mila persone, quasi tutte originarie della zona. «E avrei potuto fare molto di più - ci racconta lo storico fondatore e proprietario della Mivar - se solo avessi potuto inaugurare il nuovo stabilimento, pronto da 17 anni, e mai aperto a causa della crisi che ha azzerato le commesse». Nel 2013 Vichi non ha potuto più reggere la concorrenza dei pixel asiatici e, nonostante gli ottimi risultati conseguiti anche nel settore «plasma» e «Lcd», è stato costretto a gettare la spugna. «Dal 2013 ho offerto gratuitamente il mio stabilimento-modello (120 mila metri quadrati che sono un monumento all'efficienza) a chi fosse in grado di farlo rivivere riassumendo manodopera locale - spiega Vichi al Giornale -, ma nessuno si è fatto vivo. L'unico che potrebbe realizzare il progetto è il signor Samsung in persona. Resto in attesa ma non sono molto fiducioso». In un Paese normale un imprenditore di talento come Vichi sarebbe stato sommerso da benemerenze, attestati, finanziamenti pubblici. «E invece il palazzo del potere mi ha sempre demonizzato per le mie idee - denuncia con la veemenza che non lo ha mai abbandonato -. Ma di questa indifferenza della classe politica ed economica nei miei confronti vado orgogliosissimo. Lo Stato italiano mi fa schifo, il Vaticano mi fa schifo, i sindacati mi fanno schifo, chi non ha voglia di lavorare mi fa schifo».

Al proprio funerale Vichi non gradirà la presenza delle «autorità». «È prevista una bella festa all'interno della nuova Mivar - ci rivela Vichi -. Al centro dello stabilimento ci sarà la mia bara di legno povero. Io indosserò solo maglietta e pantaloncino. Il mio testamento spirituale verrà letto attraverso gli altoparlanti. L'ultima frase sarà A noi! e subito dopo partirà la canzone Faccetta nera. Poi la sepoltura a terra. Cenere ero e cenere tornerò ad essere».

Alle esequie parteciperà l'intera Abbiategrasso. Qui infatti non c'è famiglia che non sia riconoscente al «signor Mivar».

La sua fama di uomo «duro e intransigente» è solo una maschera. Dietro cui si cela un personaggio straordinario. Ancora tutto da scoprire.

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