Spagna nel vicolo cieco La sfida di un Paese per non andare in pezzi

Paesi Baschi, Galizia, Andalusia e Valencia: il governo di Rajoy teme l'onda lunga del voto

Spagna nel vicolo cieco La sfida di un Paese per non andare in pezzi

Sulle spalle di Mariano Rajoy, l'uomo in grigio troppe volte e troppo ingiustamente accusato di essere un politico di scarsa personalità, incombe in queste ore una responsabilità di prima grandezza. Si tratta di agire per salvaguardare l'unità del suo Paese, e non è un'iperbole. La sfida secessionista lanciata dalla risicata maggioranza che governa la Catalogna richiede una risposta decisa e i tempi sono stretti: il 1° ottobre El Govern autonomo di Barcellona intende tenere un referendum sull'indipendenza da Madrid. Pretende così di rappresentare la volontà del popolo catalano, che sarebbe quella di accedere all'indipendenza. Peccato che così facendo infranga contemporaneamente la Costituzione spagnola e lo Statuto dell'autonomia catalana. In altre parole, il referendum del 1° ottobre è fuorilegge, e i suoi promotori lo sanno benissimo. Ma ciononostante si arrogano il diritto di forzare le regole fondamentali della convivenza non solo nella loro regione ma - e questo è un punto fondamentale - nell'intera Spagna.

Il premier di Madrid ha sia il compito di mantenere la Spagna unita, sia quello di far rispettare le sue leggi. E quanto più le sfide a questi doveri istituzionali sono audaci e frontali, tanto più le risposte devono essere decise e inequivocabili. Rajoy è dunque passato all'azione su due piani principali: uno politico, componendo un fronte trasversale a difesa della legalità, e uno operativo, con iniziative tese a impedire concretamente che una consultazione fuorilegge sia tenuta. Entrambi implicano dei rischi: nel primo caso, che qualche compagine autonomista (ma non indipendentista) catalana scelga per così dire di saltare il fosso e si sposti nel campo della secessione, nel secondo che un leader politico che decide azioni a difesa delle regole comuni sia scambiato per un oscurantista che non ascolta la voce del popolo.

Rajoy non può cedere. Perché un conto è puntare con mezzi legittimi a una revisione costituzionale per ottenere il federalismo e un'autonomia che rispetti i diritti di tutti i cittadini spagnoli che vivono in Catalogna, un altro è forzare le regole condivise per accedere a un'indipendenza in cui i diritti di almeno una parte di costoro sarebbero, nella migliore delle ipotesi, rimessi in discussione. Ma c'è un altro motivo per cui Rajoy non ha alternative. A Madrid, infatti, sanno benissimo che un'eventuale secessione della Catalogna chiuderebbe (forse) una questione, ma certamente ne aprirebbe diverse altre. Dai Paesi Baschi alla Galizia all'Andalusia alla stessa Comunità Valenciana la Spagna è in realtà una specie di collage di autonomie pronte a prendere - se il vaso di Pandora dei referendum indipendentisti si aprisse - strade che portano lontano da Madrid. La Finis Hispaniae sembra lontana, ma Rajoy sa che in questi giorni si gioca una partita decisiva per esorcizzarla e che la mano catalana non può essere perduta.

Logico a questo punto chiedersi cosa accadrà da oggi al 1° ottobre. Ormai ha poca importanza cercare di stabilire chi abbia avuto più responsabilità nel determinare l'attuale grave situazione, che è un muro contro muro potenzialmente molto pericoloso. Rimane il fatto che Rajoy non può accettare che si tenga il referendum indipendentista, e che il presidente catalano Puigdemont non può più fare passi indietro come anche ieri ha ribadito. In un Paese dove il testardo attaccamento alle posizioni di principio sembra essere una priorità per ogni movimento politico, è difficile essere ottimisti su una prospettiva di compromesso.

È inutile nascondersi che il rischio di una radicalizzazione della situazione è molto concreto, ed esso porta con sé quello che teste calde di vari schieramenti ritengano che questo sia il momento più propizio per giocarsi la carta del «tanto peggio tanto meglio». Toccherà a Rajoy anche la responsabilità di impedirglielo.

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