C'è il «cauto ottimismo» della Casa Bianca: «Ci stiamo avvicinando a un accordo sul cessate il fuoco», ha ammesso John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa. C'è la convocazione «con urgenza» al Cairo del leader dell'Autorità palestinese, Abu Mazen. C'è l'indiscrezione su Benjamin Netanyahu in viaggio verso la capitale egiziana, anche se il portavoce del leader israeliano ha dichiarato che il premier nel pomeriggio di ieri non si trovava ancora al Cairo, ma non ha negato che il primo ministro fosse in viaggio verso la città. Sono sempre più numerosi gli elementi che lasciano intravedere l'avvicinarsi di una tregua nella Striscia di Gaza, nonostante in serata il giornalista Barak Ravid, esperto di Medioriente, abbia stemperato l'ottimismo. Ultimo motivo di speranza e non meno importante: l'indiscrezione di Haaretz secondo cui Arabia Saudita e Israele si avvierebbero verso l'attesa normalizzazione delle relazioni e Tel Aviv verso un percorso di riconoscimento dello Stato palestinese. Passo che potrebbe facilitare l'intesa su Gaza. Ma poi il premier Netanyahu ha seccamente smentito la via della soluzione a due Stati. Tuttavia, Se la tregua ci fosse, sarebbe la fine di 14 mesi di conflitto, dopo oltre 45mila morti e 96 ostaggi israeliani ancora a Gaza, di cui si reputa che un terzo (circa 62), siano ancora in vita.
Una delegazione israeliana è in Qatar, per definire gli elementi controversi: i prigionieri palestinesi da scarcerare, ma anche il ritiro israeliano, con gli estremisti della Striscia che insistono sull'uscita completa dell'Idf, nel timore che Donald Trump consenta a Israele di ricominciare la guerra dopo la prima fase.
L'accordo in tre fasi prevederebbe in un primo momento (45 giorni) la liberazione di 30 ostaggi. Previsto un incremento degli aiuti nella Striscia. Gli israeliani si ritirerebbero da alcuni centri abitati. Le parti proseguirebbero i colloqui fino alla terza fase, che contemplerebbe la fine del conflitto e il rilascio di tutti gli ostaggi, vivi o morti. Hamas avrebbe fatto «grandi concessioni», secondo un funzionario del gruppo al Washington Post, dopo i negoziati «positivi» a Doha.
Le condizioni geopolitiche nella regione sono cambiate in poche settimane dal 27 novembre, quando è stata siglata la tregua in Libano tra Israele e Hezbollah, alla quale è seguita il rovesciamento del regime di Assad in Siria, conseguenza proprio dell'indebolimento del Partito di Dio libanese e dell'Iran, alleato di Assad. L'«asse del male» - guidato da Teheran e composto da Hamas, Hezbollah, Houthi - è stato fortemente depotenziato. In questo contesto, la trattativa su Gaza ha preso nuovo slancio. Il tempo per un cessate il fuoco potrebbe essere maturo. Netanyahu è sotto processo per corruzione in Israele e il ritorno degli ostaggi lo aiuterebbe in un momento critico. Dopo aver incontrato il giorno prima l'inviato speciale di Donald Trump, Adam Boehler, «Bibi» si è recato ieri sul lato siriano del Monte Hermon, lungo le Alture del Golan occupate da Israele, che negli ultimi giorni ha spostato le sue truppe anche nella zona demilitarizzata. Netanyahu era con il ministro della difesa, Israel Katz.
Il quale, a proposito della tregua a Gaza ha spiegato che, se ci sarà, «Israele manterrà il controllo militare nella Striscia», «proprio come in Giudea e Samaria», ha aggiunto riferendosi alla Cisgiordania. «Non permetteremo alcuna attività terroristica contro le comunità israeliane e i cittadini di Gaza. Non permetteremo un ritorno alla realtà precedente al 7 ottobre», ha promesso.
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