È bufera su Michele Emiliano e sulle frasi pronunciate dal palco della manifestazione a sostegno del sindaco di Bari Antonio Decaro, dopo la decisione del Viminale di nominare una commissione d'accesso per verificare se sussistano i presupposti per lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose. Una decisione presa dal ministro Piantedosi dopo l'inchiesta della Dda - 130 arresti - che ha svelato episodi di voto di scambio politico-mafioso e l'ingerenza del clan nella municipalizzata del trasporto urbano. Decaro e la sua giunta sono del tutto estranei alle indagini.
Ma ora lo scontro si è spostato sulle frasi di Emiliano. Il governatore della Puglia nel ricordare la lotta contro le mafie iniziata vent'anni fa, quando lui era sindaco di Bari e Decaro il suo assessore al traffico, ha rievocato un episodio in cui sarebbero andati a casa della sorella di un boss mafioso: «Andammo a casa della sorella di Capriati, il boss di quel quartiere, io gli andai a dire vedi che questo ingegnere è assessore mio... quindi se ha bisogno di assistenza te lo affido».
Emiliano travolto dalle polemiche ha poi precisato il significato delle sue «frasi fraintese»: «Andai di persona dalla sorella incensurata del boss Capriati, che avevo arrestato e fatto rinviare a giudizio e poi condannare, per farle capire che le cose erano cambiate, quegli atteggiamenti non erano più tollerati, che potevano rivolgersi all'assessore solo con modi civili ed educati (e qui l'iperbole te lo affido se ha bisogno di bere, di assistenza) visto che si trovava lì per svolgere il suo lavoro». Ma è lo stesso Decaro, dopo 24 ore, a smentire il suo governatore, prendendo le distanze dalle parole scivolose: «Emiliano non ricorda bene non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella. È certamente vero che lui mi diede tutto il suo sostegno, davanti alle proteste di buona parte del quartiere, quando iniziammo a chiudere Bari Vecchia alle auto». Tuttavia sui social gira una foto in cui il sindaco è a braccetto nel maggio 2023 con la sorella del boss Capriati e una donna giovane. L'immagine, postata su Facebook, era stata commentata sulla bacheca virtuale da Vincent Capriati: «Roba nostra».
Decaro ricostruisce il contesto di una vicenda che risale a «quasi venti anni fa» quando Emiliano era «un magistrato antimafia appena eletto sindaco, in un quartiere abituato al parcheggio selvaggio nella totale illegalità. La signora in questione la incontrai per strada, molto tempo dopo la chiusura al traffico, e ci litigai perché non si rassegnava». E in serata Emiliano precisa: «Da pm indagaie chiesi il rinvio a giudizio per Antonio Capriati». Ma la polemica politica infuria. La Lega, con il vicesegretario Andrea Crippa, chiede che «il Viminale proceda quanto prima con lo scioglimento del comune. Dopo l'autodenuncia di Emiliano è impossibile continuare ad avere in carica un presidente di Regione e un sindaco del capoluogo che si affidano alla sorella di un boss per portare avanti l'attività sul territorio». Il vicepresidente della commissione antimafia, il pugliese Mauro D'Attis, Forza Italia, ritiene che la commissione debba fare «approfondimenti sulle dichiarazioni» di Emiliano e programmare «una serie di audizioni».
Gli risponde Walter Verini, capogruppo Pd nella stessa commissione: «Questa destra usa per fini elettoralistici la commissione Antimafia. D'Attis è in palese conflitto di interessi, fa campagna elettorale a Bari, va a chiedere la commissione d'accesso e usa il suo ruolo per l'utilità del suo partito».
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