Sembra passata un'era geologica da quando chi voleva giocare la cosiddetta «martingala» (ossia scommettere su un numero limitato di partite, un sistema fissato a quote che si legano tra loro) doveva farlo di nascosto nel retro di un bar. Perché fino a vent'anni fa questo tipo di scommessa in Italia non era legale e il banco lo teneva la malavita: il cosiddetto «totonero», quello che nel 1980 fece esplodere il primo scandalo di partite truccate in Serie A.
Solo dopo una lunga battaglia a giugno del 1998 anche da noi divenne legale giocare alla maniera degli inglesi: col Decreto ministeriale numero 174 il settore venne riformato, durante il Mondiale di Francia fu possibile piazzare le prime scommesse mirate e il Totocalcio - che dal 1946 ad allora era stato l'unico gioco a premi sullo sport riconosciuto dallo Stato oltre alle corse dei cavalli - iniziò a incamminarsi verso la pensione.
Le prime agenzie che ottennero la concessione furono proprio quelle che gestivano il settore ippico, quindi le sale corse furono riconvertite in punti dove si poteva scommettere anche sugli altri sport. E per quattro anni l'unica opzione fu quella di andarci fisicamente, perché solo a metà del 2002 un altro decreto aprì alla possibilità di raccogliere le giocate anche via telefono e via internet. L'ultimo tassello della rivoluzione.
Da lì in poi la crescita della cultura del «betting» e il progresso tecnologico hanno fatto il resto, al punto che nel 2017 la spesa reale degli italiani per le scommesse sportive (ossia il valore delle giocate al netto delle vincite) ha raggiunto la cifra record di 1,3 miliardi di euro anche grazie al fatto che ormai - grazie all'apertura dei cosiddetti palinsesti complementari - si può giocare praticamente su tutto e anche «live», ossia mentre l'evento è in corso di svolgimento.
Una manna per le casse dello Stato, che però evidentemente non piace al Movimento Cinque Stelle: all'articolo otto del Decreto Dignità, infatti, è previsto il divieto di pubblicità per il gioco d'azzardo in nome del contrasto alla ludopatia. Ieri in una lettera aperta pubblicata sul Corriere della Sera il rappresentante italiano di una società svedese che opera nel settore del gioco a distanza si è rivolto direttamente al vicepremier Luigi Di Maio: «Storicamente il proibizionismo non è la soluzione - dice in sintesi Niklas Lindhal -, perché da un lato spingerebbe di nuovo gli scommettitori tra le braccia degli operatori illegali e dall'altro danneggerebbe l'Erario privandolo di entrate fiscali quantificabili in una decina di miliardi; senza contare i contenziosi che inevitabilmente si aprirebbero».
Di Maio gli ha risposto con un post su Facebook sostenendo che «meno pubblicità al gioco d'azzardo legale farà diminuire anche il ricorso a quello illegale» e che lui da ministro delle
Politiche sociali ha «il dovere di tutelare la salute e la qualità di vita degli italiani» proteggendoli dal demone dell'«azzardopatia». Come se negli anni Venti le proibizioni avessero salvato gli americani dall'alcolismo...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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