Noto come lo «sterminatore di Papi», l'arcivescovo ed ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò ha sempre accusato pubblicamente il malcostume della chiesa cattolica, diffondendo anche dossier che hanno messo in crisi il Vaticano. Tutto in nome di una purificazione della Chiesa dietro alla quale, per alcuni vaticanisti, si nasconderebbe piuttosto il tentativo di scalare le gerarchie ecclesiastiche o una vendetta per vecchi rancori mai sopiti. Da anni i rapporti con il Vaticano sono decisamente compromessi. È stato uno dei protagonisti dello scandalo Vatileaks e autore del rapporto che accusa Bergoglio di aver coperto i preti pedofili ignorando gli abusi sessuali del cardinale Usa Theodore McCarrick.
Dopo essere stato nunzio apostolico in Nigeria e arcivescovo in Kosovo, proprio quando sembrava avviato verso una solida carriera in Vaticano, dove si era intanto fatto non pochi nemici, viene allontanato con una nomina, mascherata da promozione, a nunzio apostolico negli Stati Uniti. Viganò non incassa in silenzio e rende pubblico il suo malcontento in una lettera al cardinale segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone in cui denuncia manovre contro di lui da parte di alcune personalità della Santa Sede. Quando è in America l'arcivescovo si lamenta della nomina, ritenuta una condanna del suo operato, anche con Benedetto XVI, con il quale pure c'è una fortissima ostilità. Dopo un primo periodo di profilo basso, negli Stati Uniti comincia a denunciare il malcostume della Curia romana puntando il dito contro la corruzione di arcivescovi e cardinali. I vescovi americani lo considerano un riformatore, uno che non ha paura di dire la verità. Viganò stringe con loro rapporti sempre più stretti. Quando arriva il momento di tornare in Italia un'altra delusione dal Vaticano.
Papa Francesco non gli riserva alcun prestigioso incarico in Curia, come credeva, anzi lo «pensiona» facendogli intendere che avrebbe preferito un suo ritorno a Varese, nella sua diocesi d'appartenenza. Nel 2018 viene condannato a risarcire il fratello sacerdote per un milione e 800mila euro al termine di un processo civile sulla gestione dell'eredità familiare.
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