Strage di Bologna: "Bellini in stazione, prove su Gelli"

Le motivazioni della sentenza sull'ex terrorista: "Disegno per costruire uno Stato autoritario"

Strage di Bologna: "Bellini in stazione, prove su Gelli"

Un riconoscimento «granitico» alla base di una condanna all'ergastolo per una strage di quarantatrè anni fa. E prove assai più labili, al confine delle supposizioni, su tutto il resto: il contesto in cui si sarebbe deciso di piazzare una bomba nella sala d'aspetto della stazione di Bologna e di farla esplodere, la mattina del 2 agosto 1980, nel pieno dell'esodo estivo. Le motivazioni depositate ieri del processo-bis per la peggiore strage della storia d'Italia (85 morti, centinaia di feriti) si muovono su questo doppio binario.

La prova «granitica» è quella che per la Corte d'assise di Bologna dimostra che quel giorno nella stazione c'era Paolo Bellini, allora 27enne, estremista neofascista. C'è un filmato girato da un turista giapponese sui binari invasi dalle macerie, dal fumo e dal terrore, che mostra un giovane muoversi, apparentemente tranquillo. Somiglia a Bellini, ma sono passati molti anni. A incastrarlo è stata la ex moglie, che si ricorda bene il Bellini di allora: «è lui». Per i giudici bolognesi, a questo punto, gli elementi contro Bellini sono «di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto». Ovvero Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi di destra, condannati all'ergastolo ma ormai liberi da anni (e che tutt'ora si dichiarano innocenti).

La sentenza però va più in là del ruolo di Bellini, e affronta il nodo cruciale del movente e dei mandanti: reso complesso dal fatto che i sospettati sono tutti morti. A partire dal capo della P2 Licio Gelli e dell'ex capo dell'ufficio «Affari Riservati» del ministero degli Interni, Federico Umberto d'Amato. «Possiamo ritenere fondata l'idea - scrivono i giudici - che all'attuazione della strage contribuirono in modi non definiti Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D'Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo». A chi rispondesse e come fosse strutturato questo «servizio occulto» i giudici non lo dicono, e neppure sembrano avere idee ben chiare sugli obiettivi della strage: «Uno dei moventi emersi - scrivono- è consistito nella necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia», che però nell'estate del 1980 non appariva affatto imminente.

Gelli e d'Amato «ambivano all'instaurazione di uno Stato autoritario, nell'ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l'accesso alla politica delle masse». Ma anche di preparativi di questa ipotetica instaurazione nessuna traccia è mai emersa.

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