È una nuova tragedia del mare. E - da quanto se ne sa - avrebbe inghiottito quasi 70 vite. Ma è qualcosa di ben diverso da quella di Cutro usata, in passato, per accusare l'Italia e il suo sistema di soccorsi ai migranti. Parliamo del disastro che ha visto una barca - probabilmente un veliero pieno di afghani, curdi e siriani proveniente da qualche porto della Turchia - ribaltarsi e affondare a 120 miglia marittime (circa 220 chilometri) dalle coste della Calabria.
L'inizio della tragedia sarebbe stato segnalato da un'imbarcazione francese che ha visto il barcone ribaltarsi al confine tra le acque territoriali di Grecia e Italia. In seguito a quell'allarme il centro di Coordinamento della nostra guardia costiera ha fatto confluire nella zona un aereo Atc 42 e le motovedette Cp305 e Cp326 di stanza in Calabria.
Quando hanno raggiunto la zona del naufragio gli uomini della Guardia Costiera hanno recuperato 11 superstiti che sono stati sbarcati a Roccella Ionica. «I superstiti - dice un'operatrice di MSF - ha hanno parlato di 66 persone disperse, tra cui almeno 26 bambini, anche di pochi mesi. Intere famiglie dell'Afghanistan sarebbero morte». Un disastro comunque non imputabile alla disattenzione o all'assenza della nostra Guardia Costiera intervenuta subito dopo il primo allarme. Un disastro che fa il paio con quello segnalato dalla Nadir, una nave della ong Resqship, intervenuta al largo della Libia dove ha salvato 51 persone e recuperato dieci cadaveri rimasti imprigionati nella stiva di un barcone. Entrambi i naufragi sono avvenuti, peraltro nel contesto di una situazione che sul fronte sbarchi appare in assoluto miglioramento. «La notizia è un pugno nello stomaco - commenta Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria - Quelle che stiamo vivendo sono ore di grande angoscia per tutta la Regione, ore che ci riportano alla mente il dramma immane che abbiamo vissuto a Cutro poco più di un anno fa». Come rilevano i dati del governo ad oggi la tendenza è comunque quella di una netta flessione sia rispetto all'anno scorso, sia rispetto al 2022. I 23mila 725 sbarchi di questi primi sei mesi sono in netta controtendenza rispetto ai 55mila 902 registrati lo scorso giugno e di poco inferiori ai 23mila 920 di due anni fa. Il confronto risulta ancor più interessante se focalizzato su una Tunisia considerata, un anno fa, completamente fuori controllo.
Dodici mesi dopo il lavoro condotto dalle nostre autorità e da quelle di Tunisi ha ridotto di tre volte gli arrivi portandoli dai 34mila 394 dei primi sei mesi del 2023 ai 9mila617 di quest'anno. Altrettanto positiva la tendenza di un'altra area calda come quella libica. Al 31 maggio i flussi su quella tratta erano fermi a 11mila 425 arrivi. La metà rispetto ai 22mila 462 registratati nei primi cinque mesi del 2023. Anomalo appare, invece, il caso della Turchia da cui sarebbe partito il veliero naufragato nel fine settimana inghiottendo oltre cinquanta vite. I dati del nostro ministero dell'Interno registravano, fino a tre settimane fa, un azzeramento delle partenze su quell'asse. Una tendenza ribaltatasi a fine maggio quando il flusso si è improvvisamente riaperto facendo registrare l'arrivo di almeno 13 imbarcazioni salpate dai porti turchi.
E visto che dietro le partenze e all'attività dei trafficanti di uomini vi sono sempre connessioni politiche c'è da chiedersi perchè le organizzazioni coinvolte abbiano deciso di riprendere l'attività in questo periodo.
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