Una strage senza colpevoli: dagli allarmi ignorati ai ritardi. Tutti i "buchi" della sentenza

Restano in piedi solo il mancato sgombero e la statale non chiusa. Il pm: "Così è stato cancellato il reato di disastro colposo"

Una strage senza colpevoli: dagli allarmi ignorati ai ritardi. Tutti i "buchi" della sentenza

Ventinove morti su quaranta ospiti, ma quasi nessun colpevole. Che qualcosa strida nella sentenza del tribunale di Pescara sulla tragedia dell'hotel Rigopiano lo chiarisce già un dato eloquente. A fronte di una richiesta di condanne per circa 150 anni arrivata dalla procura, le condanne comminate dal gup non arrivano complessivamente a dieci anni.

L'indulgenza divide l'accusa per quindici, ed è inevitabile considerato che un'architrave del processo, il reato di disastro colposo, sparisce nel nulla, proprio come l'hotel, travolto e cancellato per sempre dalla valanga alle 16.48 del 18 gennaio di sei anni fa, insieme a tanti dei suoi occupanti, bloccati lì dentro dalla neve che impediva a chiunque di andarsene.

Che ne è del «fallimento di un intero sistema», denunciato nella requisitoria della procura, che aveva ricordato «ritardi inaccettabili» e responsabilità a vari livelli, non puntando certo il dito solo in basso? A finire condannati sono solo il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il responsabile di Gran Sasso Resort, Bruno Di Tommaso, due responsabili della viabilità della provincia di Pescara e il tecnico che aveva firmato la relazione tecnica per la richiesta dell'hotel di metter mano a verande e tetti del resort. Per loro, condanne «spuntate» rispetto alle richieste (per la procura aveva chiesto 11 anni e 4 mesi), ma i più vanno assolti, come l'allora prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e l'ex presidente della Provincia, Antonio Di Marco, per i quali i pm avevano chiesto rispettivamente 12 e 6 anni.

Spariscono, insomma, le responsabilità «politiche» della tragedia. Sembra che quel 18 gennaio i problemi siano stati solo il mancato sgombero dell'hotel, il mancato intervento dello spazzaneve e va ricordato che il giorno prima, invece, la strada per far salire i turisti in hotel era stata pulita perfettamente o la mancata chiusura della strada provinciale.

Nessuno, finora, risponde degli allarmi ignorati, delle risposte sciatte di chi avrebbe dovuto raccoglierli e girarli ai soccorritori. Tutti ricordano le registrazioni della funzionaria della prefettura che, a chi invocava i soccorsi aveva risposto, seccata, che «i vigili del fuoco hanno fatto le verifiche e non c'è nessun crollo all'Hotel Rigopiano». Chissà chi pagherà o spiegherà ai parenti delle vittime ieri comprensibilmente infuriati dopo la sentenza - il perché dei ritardi nell'arrivo dei soccorsi, o semplicemente il perché si sia consentito di creare un resort in un luogo non nuovo a valanghe e la cui pericolosità dunque, secondo molti e secondo prove documentali, era arcinota.

Quell'hotel è cresciuto a dismisura «attaccandosi» a un piccolo ex rifugio del Cai, trasformandosi nel 2008 in una rinomata Spa che richiamava turisti e soldi che facevano gola al territorio, e si è trasformato in resort solo grazie a una variante al Prg e a una sdemanializzazione che è stata votata, approvata, e che ha superato senza intoppi il suo iter burocratico. Tutti innocenti, o quasi? «Non sempre gli enti aveva spiegato nel corso della requisitoria la pm Anna Benigni hanno a cura l'incolumità o l'interesse collettivo.

Comune o Prefettura, per esempio, avrebbero dovuto fare il loro dovere o impedendo la costruzione dell'hotel o evacuando la struttura».

Ma il gup del tribunale di Pescara ha deciso diversamente. Il perché si saprà con le motivazioni, quando anche il capo della procura, Giuseppe Bellelli, deciderà se ricorrere in appello.

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