Lo strano silenzio di Renzi sull'amicizia col generale

Le intercettazioni sono imbarazzanti non solo per le frasi su Letta e Napolitano. Il nodo è il legame con Adinolfi, che seguiva le inchieste fiorentine sull'allora sindaco finite nel nulla

Lo strano silenzio di Renzi sull'amicizia col generale

Nessun cinguettio. Neppure un frinire, un pigolio, un bubolare (che poi sarebbe il verso del gufo, e dell'allocco).

Niente. A Matteo Renzi questa questione delle intercettazioni con il generale della Guardia di Finanza va proprio storta, dunque è vietato parlarne. Motivo in più per occuparsene. Molte delle considerazioni emerse sono assodate: la scarsa stima nei confronti dell'ex premier Enrico Letta, l'intreccio di circostanze (oscure o poco edificanti) che portarono il segretario del Pd a veder l'Italia cadere ai suoi piedi, saga dei Napolitanos compresa, i singolari e intimi rapporti con i graduati della Finanza (ma non solo) che l'ex sindaco di Firenze intratteneva. È proprio quella dell'amicizia con il generale Michele Adinolfi una delle piste più inquietanti venute alla luce. Anche perché è proprio al premier che il generale si rivolge subito, l'altra mattina, appena lette le intercettazioni pubblicate dal Fatto . «Mi ha detto di stare sereno», dichiara Adinolfi a Repubblica , cercando di far passare per «rapporti istituzionali» quelli intrattenuti con Renzi e Lotti in qualità di «comandante interregionale di Toscana, Emilia e Marche. Con chi avrei dovuto discutere...? Colpa mia se poi è diventato premier?». Tutto bene, madama la marchesa. Sì, ma anche no. Perché Adinolfi era all'epoca il comandante di un corpo di polizia giudiziaria investito di indagini che hanno lambito l'ex presidente della Provincia di Firenze e poi sindaco di Palazzo Vecchio, «il mio sindaco» come lo chiama lui. Per esempio, quella sui finanziamenti a due associazioni, Noi Link e Festina Lente (fino a pochi mesi fa sconosciute), e a due fondazioni, Big Bang e Open , che hanno foraggiato la scalata renziana. Il Fatto le definisce le «casseforti di Renzi», visto che in poco più d'un lustro hanno raggranellato un tesoretto di quasi cinque milioni di euro: soldi versati da imprenditori che hanno avuto modo di essere ripagati da appalti pubblici o altre utilità? E di che tipo di imprenditori si trattava, visto che tra i benefattori della Bing Bang c'era persino il Buzzi di Mafia Capitale ? E che rapporti avevano alcuni di questi imprenditori siciliani, che Renzi premeva per portare al governo, con lo stesso Adinolfi, che è stato comandante GdF anche a Catania? E questa Big Bang , cui era intestato persino il cellulare con il quale Renzi parla con Adinolfi nell'intercettazione, gestita da Marco Carrai, amico fraterno di Matteo, che ruolo ha nell'intreccio vorticoso di relazioni tra politica, affari e apparati dello Stato? Un'inchiesta scattata già nel febbraio 2014 giace da allora alla Procura di Firenze, senza aver fatto passi in avanti. Collegata a essa, la denuncia di un ex usciere di Palazzo Vecchio, Alessandro Maiorano, a proposito della mansarda in cui è stato residente Renzi, nonostante fosse pagata da Carrai. Altro troncone finito misteriosamente nel nulla (sul caso pare che l'avvocato Taormina s'appresti a presentare denuncia alle Procure generali della Corte d'appello di Firenze e della Cassazione).

Di sicuro uno dei «controllori», come avrebbe potuto essere il generale Adinolfi, non era al di sopra di ogni sospetto.

«Se qualcuno è in grado di dimostrare che io sia venuto meno ai miei doveri di ufficio nei confronti dei politici con cui nel tempo ho avuto necessariamente rapporti, sono pronto a pagare duramente», dice Adinolfi. Quasi un' excusatio non petita , oggi che sembrerebbe avere un ombrello che lo mette al riparo da tutto. Forse l'«ombrello» comincia a far gocciolare qualche verità. Forse piove.

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