Gli strascichi del Russiagate nello scontro Renzi-Conte

La guerra sui Servizi chiave per chiarire i rapporti tra Giuseppi e Trump, ma anche per il ruolo Usa di Matteo

Gli strascichi del Russiagate nello scontro Renzi-Conte

Dal tempestoso ribaltone alla Casa Bianca un'onda lunga potrebbe attraversare l'Oceano e investire Palazzo Chigi: più esattamente, le segrete stanze dove si officiano gli ottimi rapporti tra il presidente del Consiglio e i vertici della nostra intelligence. Rapporti cui Conte tiene assai, ma che ora presentano un lato debole: si sono cementati grazie alla comune fedeltà a Donald Trump, il presidente che Conte indicò (insieme a se stesso) come «un simbolo del cambiamento», venendo ringraziato con il famoso endorsement di Trump per l'amico «Giuseppi».

Il guaio è che il patto di ferro ha avuto come terreno d'azione quello scivoloso pasticcio chiamato Russiagate, dove Conte si è speso - glissando su regole e procedure - per aiutare gli emissari di «Potus» a scovare le tracce del complotto che sarebbe stato ordito ai danni del candidato repubblicano ai tempi delle elezioni del 2016 da parte dei democratici. Ma ora che i democratici sono tornati al potere difficilmente resisteranno alla tentazione di ribaltare la frittata su Trump e suoi amici all'estero. E c'è chi in Italia si prepara ad aiutarli.

Ad essere nel mirino è il perno del rapporto tra Conte e i nostri 007: la scelta del premier di tenere per sé, in entrambi i governi che ha presieduto, la delega ai servizi segreti. È una scelta che ha creato malumori crescenti nel Pd, per il potere fuori controllo che porta con sé, e che ha in Matteo Renzi il principale critico. E infatti ieri è Italia viva a portare l'affondo: «Oggi più che mai - dice all'Huffington Post un renziano di spicco - è necessario che Conte lasci quella delega, come sempre è successo con i governi precedenti. Serve un uomo diverso a capo dei Servizi anche per fare luce sui fatti di quell'estate». Ossia l'estate del 2019, quando il general attorney trumpiano William Barr viene due volte a Roma: la prima volta incontra il capo del Dis, il coordinamento dei Servizi, Gennaro Vecchione, la seconda i capi delle due agenzie, Luciano Carta e Mario Parente. Poche settimane dopo, arriva nella Capitale il capo della Cia, Gina Haspel, incontra prima Conte e poi l'ex capo dell'Aise, Alberto Manenti. Gran traffico di «barbefinte», e al centro un solo tema: portare alla luce la manovra che quattro anni prima la Cia fazione Obama avrebbe ordito per sabotare la campagna elettorale di Trump.

Giuseppe Conte ha sempre negato un suo coinvolgimento: ma il suo commento dell'altra sera all'invasione del Campidoglio, in cui si guardava bene dall'indicare Trump come mandante morale, ha risollevato le voci sulla sua dimestichezza con l'inquilino (quasi ex) della Casa Bianca. Così Renzi porta l'attacco, e mette la rinuncia di Conte alla delega sui servizi sul piatto della trattativa di governo. Ma lo fa basandosi su un falso storico, quando dice che il premier deve rinunciare alla delega «come sempre è successo con i governi precedenti». Non è vero: perché se quando Renzi era a Palazzo Chigi i rapporti con l'intelligence erano assegnati a Marco Minniti, quando Paolo Gentiloni divenne presidente del Consiglio si guardò bene dal consegnare la delega a un sottosegretario, e la tenne per sé. E ora è difficile non collegare la decisione di Gentiloni a quanto accadeva in quei mesi a Roma, secondo le mille pagine del rapporto conclusivo della commissione d'inchiesta bipartisan del Senato americano sul Russiagate: a partire dall'agitarsi nella Capitale del professore maltese Joseph Mifsud, docente e socio della Link Campus. George Papaopoulos, già collaboratore della campagna elettorale di Trump, ha indicato senza mezzi termini Mifsud come agente provocatore al soldo della Cia, e ha parlato esplicitamente di appoggi che Mifsud avrebbe ricevuto dai governi di centrosinistra italiani. Renzi ha reagito annunciando querele contro Papadopoulos, e la cosa è finita lì.

Ma una cosa è certa: quando Gentiloni approda a Palazzo Chigi, c'è ancora tutto il tempo per capire davvero cosa sia accaduto. Per questo è importante che la chiave dei segreti dell'intelligence non cada nelle mani sbagliate.

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