Niente strappi, nessuna «forzatura». Scongiurare il pericolo di un vuoto di potere che sarebbe oltremodo pericoloso. Il Quirinale cerca di frenare sul nascere l’ira funesta del premier Matteo Renzi, la sua sete di rifarsi sul tavolo verde della scommessa perduta con gli italiani. La possibilità che voglia imprimere un’accelerazione alla fine della legislatura, così da poter capitalizzare quel 40 per cento che sembra preludere a un partito totalmente «suo», e di maggioranza relativa di fronte ai grillini senza leader presentabile e a un centrodestra diviso tra le leadership di Berlusconi e Salvini. Le dimissioni annunciate stanotte da Renzi, atteso sul Colle già nel pomeriggio al termine del Consiglio dei ministri, secondo lo staff presidenziale sarebbero dovute essere ricondotte, smaltita la delusione, a mero «atto formale» senza alcuna ulteriore «drammatizzazione» verso crisi al buio. Invano era stato raccomandato al leader pidino di non farne una questione personale, un plebiscito su se stesso.
Il governo, si ragiona, è pur tuttavia un’altra cosa. La prima intenzione del presidente Sergio Mattarella sarebbe quindi quella di «congelare» la situazione per non dare segnali negativi ai mercati e all’Europa. Nel contempo, cominciando a far «stemperare gli animi» dopo una delle campagne elettorali più aspre della storia. Meglio sarebbe che Renzi accettasse il rinvio alle Camere, magari con un esecutivo «di responsabilità» che abbia due o tre scopi precisi: condurre in porto la legge di Stabilità, appena approdata in Senato; giocare la partita delle ricapitalizzazioni bancarie (circa 18 miliardi di euro in ballo); provvedere alle necessarie modifiche alla legge elettorale. Ma la conferenza stampa di Renzi, tutt’altro che di tono rinunciatario, apre uno scenario forse imprevedibile. È sembrata chiarissima la voglia di arrivare alla sfida finale con Grillo e il centrodestra. Se Renzi si dimostrasse perciò irremovibile nelle sue determinazioni, Mattarella sarebbe costretto ad aprire ufficialmente le consultazioni e giungere al più presto all’indicazione del successore. Ma sarà lo stesso Renzi, in qualità di capo del Pd, a indicare un nome. Considerata la crisi che si apre al Nazareno, è possibile ancora che il segretario imponga un suo uomo (Padoan, Delrio o Calenda). Se ciò non avvenisse, l’incarico verrebbe affidato al presidente del Senato, Pietro Grasso: un governo che conduca verso elezioni anticipate appena pronte le modifiche alla legge elettorale (maggio, autunno o inizio 2018).
Tra i primi contatti telefonici di Renzi, quando il risultato si è andato configurando nelle proporzioni finali, quello con il Capo dello Stato. Mattarella stava seguendo lo spoglio elettorale nel suo studio privato al Quirinale dopo il rientro da Palermo, dove in mattinata aveva votato all’istituto Giovanni XIII. E se il premier sembra pronto persino per una nuova campagna elettorale, per il capo dello Stato il primo punto dell’agenda resta la «riconciliazione nazionale» ottenuta attraverso una lenta ma costante tessitura, persino con i fili più sfibrati (e sfibranti) come Beppe Grillo e il leader leghista Matteo Salvini, che ora puntano decisamente verso le elezioni, ma restano condannati dai numeri a soccombere contro un partito renziano.
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