Lo stato d'emergenza ora c'è. Ma è un'arma spuntata. Servirà solo a spostare i migranti già arrivati, a farli accettare nei vari comuni e ad accelerare i fondi per l'accoglienza. Non certo a sveltire i rimpatri, né tantomeno a bloccarne gli arrivi o a spezzare la collusione tra Ong e trafficanti. Proprio per questo lo stato d'emergenza resta una misura debole e inefficace. La necessità di un'azione ferma e decisa sul fronte del contenimento degli sbarchi è ben spiegata dal comunicato del 3 aprile con cui il ministero degli interni spagnolo annuncia una drastica diminuzione delle entrate irregolari nei primi tre mesi dell'anno. Una realtà confermata dagli appena 4mila 287 migranti arrivati al 31 marzo a fronte degli 8mila 727 dell'anno precedente. Una riduzione pari al 50,9 per cento. Roba da non credere per un'Italia che in quegli stessi tre mesi conta oltre 26 mila sbarchi. Diventati 28mila 285 dopo l'esodo dei giorni di Pasqua. Come dire quattro volte gli arrivi 2022.
L'exploit spagnolo ricorda quello italiano del luglio 2018 quando iniziano a far effetto il contenimento degli sbarchi e il blocco delle navi delle Ong introdotti con l'arrivo al Ministero degli Interni di Matteo Salvini. Al 31 di quel mese gli sbarchi sulle nostre coste, che a maggio sfioravano quota 4mila, diventano 1931 ovvero meno della metà. Contemporaneamente si registrò, però, uno tsunami sul versante spagnolo dove al 31 luglio si contano oltre 4mila 500 arrivi per un totale di oltre 22mila entrate dall' inizio dell'anno. Dati da capogiro per una Spagna che nel 2016 accoglieva 13mila migranti mentre l'Italia si misurava con la cifra record di 181mila sbarchi. Ora dire che un'azione di contrasto nel Canale di Sicilia sposta i flussi verso il Mediterraneo occidentale e viceversa non è scientificamente provato, ma il sospetto c'è. E a rafforzarlo contribuiscono le modalità di contrasto a cui hanno potuto ricorrere il governo socialista spagnolo e l'esecutivo di Giorgia Meloni. Dopo la lezione del 2018, il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez non si fa più scrupoli. Lo dimostrano gli scontri di fine giugno 2022 quando 1500 gendarmi della Guardia Civil schierati nell'enclave di Melilla affrontano migliaia di africani decisi a guadagnarsi la terra promessa. Una vera battaglia alla fine della quale si contano 18 migranti morti e un centinaio di feriti. Una strage a cui l'Ue e i suoi governi reagiscono con modesti borbottii. Nulla rispetto alle geremiadi riservate al nostro governo quando, a novembre 2022, tenta di arginare l'operato delle Ong nel Mediterraneo.
La lezione che ne salta fuori è ben chiara. Distribuire i migranti sul fronte interno serve a poco se manca un'azione decisa sul fronte marittimo e sulle coste da cui partono i flussi migratori. A confermarlo s'aggiungono i dati del luglio 2017. Allora la missione di sostegno alla neonata Guardia Costiera libica, voluta dal ministro Marco Minniti e accompagnata dai nostri 007 pronti a reclutare i capi milizia libici in funzione anti-trafficanti, riduce gli sbarchi dai 23mila mensili di maggio e giugno a meno di 12mila. Che ad agosto diventano appena 3mila 920. Una verità è insomma evidente, migranti e trafficanti scelgono gli itinerari in base alle difficoltà che le nazioni d'arrivo frappongono alle loro rotte. Mentre le autorità dei territori da cui partono i flussi non disdegnano la valuta in euro o dollari garantita da quei traffici. Cirenaica e Tunisia lo dimostrano. «Le partenze di Pasqua hanno fruttato ai trafficanti della Cirenaica oltre 12 milioni di euro. Quelle somme proiettate nell'arco di un anno vanificano qualsiasi politica di aiuti dell'Italia. E lo stesso dicasi per la Tunisia dove cerchiamo la collaborazione del governo mentre i trafficanti mettono in mare decine di barchini dal sorvegliatissimo porto di Sfax» spiegano a Il Giornale fonti della Presidenza del Consiglio.
In assenza di contrasti efficaci dollari ed euro sono, insomma, il primo propellente del traffico di uomini. E il primo a capirlo fu il governo turco di Erdogan che nel 2015 mise in campo un milione di migranti incassando dall'Europa sei miliardi di euro.
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