La via stretta di Meloni. Prudenza sui negoziati e l'ipotesi collegamento al vertice conservatore

Strategia attendista: la Ue deve essere al tavolo di concerto con gli Usa. L'invito al Cpac

La via stretta di Meloni. Prudenza sui negoziati e l'ipotesi collegamento al vertice conservatore
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Nel giorno in cui Donald Trump alza come mai prima i toni nei confronti di Volodymyr Zelensky, nel governo italiano si continua a seguire un approccio di prudenza improntato a un doppio binario che tenga insieme da una parte la necessità che anche l'Europa si sieda al tavolo dei negoziati per l'Ucraina e dall'altra l'esigenza di continuare a collaborare con gli Stati Uniti, determinanti per garantire la sicurezza del fronte orientale dell'Ue. Un equilibrio complicato e che gli ultimi affondi del presidente americano - preceduti da quelli del suo vice J.D.Vance - rendono giorno dopo giorno più problematico.

Ieri i vertici dell'Unione europea hanno preferito non alzare i toni, tanto che l'Alta rappresentante per la politica estera Kaja Kallas si è limitata a ribadire che «per far funzionare qualunque tipo di pace è necessario che Ue e Ucraina siano al tavolo». Parole che sono seguite al via libera di Bruxelles al sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, approvato proprio ieri dal Coreper (che riunisce i rappresentanti permanenti dei Ventisette). Un messaggio diretto al segretario di Stato americano Marco Rubio, secondo cui l'Ue dovrebbe entrare nei negoziati «ad un certo punto», sostanzialmente quando si dovranno cancellare le sanzioni alla Russia. Insomma, mentre la diplomazia americana e quella russa sembrano andare a braccetto puntando il dito contro Zelensky, Bruxelles tira dritto sulle sanzioni. Una scelta che Ursula von der Leyen rivendica. «Ci impegniamo - dice - a mantenere alta la pressione sul Cremlino».

Un quadro che definire complesso è un eufemismo. Con Parigi e Berlino che non esitano a bollare come «incomprensibili gli attacchi di Trump a Zelensky» e con il presidente francese Emmanuel Macron che la prossima settimana sarà alla Casa Bianca (prima toccherà all'inglese Keir Starmer). Uno scenario nel quale Giorgia Meloni si muove secondo la logica attendista del wait and see. Non solo per la delicatezza del momento, ma anche perché sono giorni cruciali in cui il quadro si modifica quasi di ora in ora. A Palazzo Chigi si confida che quella di Trump sia sostanzialmente una tattica negoziale, simile a quella utilizzata con Canada e Messico. Anche perché la Casa Bianca punta ad avere nella ricostruzione dell'Ucraina un ruolo centrale che comprenda anche una cospicua quota delle risorse (minerali, petrolio e gas) e terre rare ucraine. Anche se il dubbio che il presidente americano stia spingendo troppo sull'acceleratore inizia ad affacciarsi. Soprattutto se la priorità di Washington è davvero quella di sganciare la Russia dalla Cina - il vero nemico degli Stati Uniti - facendo rientrare Mosca nell'orbita europea dal punto di vista commerciale. E se in nome di questo Trump fosse davvero pronto a spartirsi l'Ucraina con Vladimir Putin.

È in questo scenario che Meloni sta valutando se rispondere all'invito degli organizzatori del Cpac 2025, la Conservative political action conference a cui ogni anno partecipano attivisti e politici conservatori da tutti gli Stati Uniti e dal mondo. L'ipotesi è che la premier italiana (già intervenuta in presenza nel 2019 e nel 2022) possa video-collegarsi sabato poco prima dell'intervento conclusivo di Trump e dopo il presidente argentino Javier Milei.

Intanto, ieri è arrivata a Washington la delegazione di Ecr che prenderà parte all'evento, guidata dal polacco Mateusz Morawiecki (che a dicembre è succeduto a Meloni come presidente dei Conservatori) e con gli italiani Carlo Fidanza (vicepresidente di Ecr e capo-delegazione di Fdi a Bruxelles) e Antonio Giordano (segretario generale di Ecr e deputato di Fdi).

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