Questa guerra fuori dal tempo sta chiamando nelle sue viscere il marcio di tutte le guerre. È una guerra post moderna e balla sull'apocalisse, con i missili che tracciano il cielo e piombano ovunque ci sia un segno di vita, dalle case abbandonate ai reattori nucleari, con i droni, i satelliti, le macchine e la tecnologia, propaganda e controinformazione e tutti i demoni di questo nuovo secolo. E poi va a ritroso, con la fila dei carri armati e gli aerei da abbattere, le sirene e le fughe al coperto, la resistenza dei civili e la guerriglia, le parole della paura, gli assedi di città affamate, il sangue che chiama sangue delle eterne guerre civili, stessa faccia e stessa schiatta che non si riconoscono, fino al non lasciare quartiere a chi viene conquistato, sottomesso e vinto, senza pietà come nella notte dei tempi per le donne. L'eco degli stupri è una voce che arriva da Kiev. Le parole sono di Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, che le butta lì per sostenere che il diritto è fuggito dall'Europa, che di fronte a tutto questo diventa ogni giorno più difficile sperare nella pace. «Quando le bombe cadono sulle vostre città, quando i soldati violentano le donne nelle città occupate e purtroppo abbiamo numerosi casi di quando soldati russi violentano le donne nelle città ucraine è difficile, ovviamente, parlare dell'efficienza del diritto internazionale». Non ci sono regole non c'è umanità. Non c'è mai stata. È tutto come sempre, come ogni volta e solo alla fine si sveleranno pezzo a pezzo i particolari dell'orrore. Per ora ci sono le parole di Kuleba, che rievocano gli stupri in Bosnia, così tanti che è ancora difficile contarli, venti o venticinquemila. Buona parte sulla linea di confine con la Serbia, a Prijedor o nel quartiere di Grbavica a Sarajevo. L'infamia delle truppe paramilitari serbe, ma anche della polizia. A Visegrad, nell'albergo Vilina Vlas (capelli di fata) le ragazze venivano chiuse nelle stanze e legate ai letti e violentate per ore. È stato l'atto di addio di un disilluso Novecento. È successo nel Darfour e prima ancora in Ruanda, in Sry Lanka, in Bangladesh, in Somalia e con i francesi in Algeria. È successo sempre, con un mondo che ogni volta fatica a ricordarsene. È successo anche qui e ancora adesso se ne parla quasi sottovoce. È il 14 maggio 1944 e le truppe alleate superano la linea Gustav, con Montecassino in macerie, aggirano la valle del Liri e si dirigono verso Roma. Il generale francese Alphonse Juin lascia alle truppe nordafricane cinquanta ore di libertà.
Non avranno pietà. Alla storie resteranno come le «marocchinate». Alberto Moravia scriverà la Ciociara. Vittorio De Sica, ciociaro, le racconterà al cinema con il volto di Sophia Loren. Il ricordo è nel sangue di una terra.
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