Su Assange Londra cede "Estradizione negli Usa"

Ora l'appello. La moglie: "Combatteremo". WikiLeaks: "Non è la fine della battaglia"

Su Assange Londra cede "Estradizione negli Usa"

Londra. Via libera del ministro degli Interni Priti Patel all'estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. È la puntata recente della storia infinita che vede contrapposti ormai dal 2010 il fondatore di WikiLeaks e il governo americano, dopo che il giornalista diffuse in rete migliaia di documenti diplomatici segreti che contenevano analisi dettagliate dei capi di governo di tutti i Paesi.

Nello stesso anno, contro Assange scattarono due mandati di arresto per aggressioni sessuali in Svezia e il Regno Unito stabilì che l'uomo fosse estradato in Svezia. Questo non avvenne perché il giornalista chiese asilo politico nell'ambasciata londinese dell'Ecuador dove rimase dal 2012 fino al 2019, anno in cui venne arrestato e trasferito nel carcere di Belmarsh dove si trova attualmente. In questi anni, a difesa di Assange sono scesi in campo migliaia di attivisti politici a sostegno di una battaglia legale fatta di corsi e ricorsi. Non appena si è diffusa la notizia della decisione del ministro degli Interni, WikiLeaks ha rilasciato un comunicato in cui annuncia l'ennesimo appello contro la mossa di Patel: «Questa non è la fine della battaglia, ma solo l'inizio di una nuova. Presenteremo appello di fronte all'Alta Corte». Nella nota si sottolinea che «chiunque abbia a cuore la libertà di espressione dovrebbe vergognarsi della decisione presa dal ministro»: «Julian non ha fatto nulla di sbagliato, è un giornalista e un editore e si continua a volerlo punire per aver fatto il suo lavoro. Patel aveva il potere di fare la cosa giusta e invece verrà ricordata per essersi resa complice degli Stati Uniti ed aver trasformato il giornalismo investigativo in un'impresa criminale». Qualsiasi genere di appello in futuro - spiegava ieri The Guardian - si baserà sulla libertà di espressione e sulla necessità di dimostrare l'esistenza di motivazioni politiche dietro le richieste americane. Quando Patel ha esaminato il caso ha dovuto valutare se la richiesta presentata dal governo del suo principale alleato aveva i requisiti legali richiesti, tra cui la promessa di non condannare a morte Assange. Ieri, la moglie del fondatore di WikiLeaks, Stella, ha confermato la volontà di non voler mollare di un centimetro: «Combatteremo anche contro questa decisione e utilizzeremo ogni via legale possibile. Userò ogni ora delle mie giornate lottando per Julian fino a che lui non sarà libero, fino a che giustizia non sarà fatta». Da parte del ministero degli Interni nessun commento ulteriore, soltanto una secca dichiarazione. «Il 17 giugno, in seguito a quanto deliberato dai magistrati della corte e dell'Alta Corte (che avevano lasciato la decisione finale a Patel ) è stata ordinata l'estradizione negli Stati Uniti di mister Assange.

Egli ha diritto di presentare appello nei prossimi 14 giorni - ha fatto sapere un portavoce dell'Home Office - in questo caso i tribunali britannici non ritengono che l'estradizione sia un abuso nei confronti di mister Assange. Né la ritengono incompatibile con i suoi diritti umani». Per il momento però, Julian rimarrà a Belmarsh, in attesa di conoscere l'esito del prossimo appello.

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