«Sono molto tranquillo, rifarei tutto allo stesso modo». Fabio Paratici, direttore sportivo della Juventus, indagato per falsa testimonianza nell'inchiesta sull'esame-farsa di italiano a Luis Suarez, ostenta sicurezza. Ma Paratici - e con lui l'intero vertice del club bianconero - sa che la situazione è seria. E che la decisione della procura di Perugia di incriminarlo, accusandolo di avere mentito quando venne interrogato come testimone l'11 novembre, può essere solo l'inizio dei guai. Non solo perché contro di lui, contro la sua affermazione di non essersi occupato della pratica per procurare la cittadinanza all'attaccante, pesano intercettazioni granitiche. Ma anche perché negli atti dell'inchiesta è scritto chiaramente qual è il vero bersaglio dell'indagine: capire quale contropartita sia stata offerta ai vertici dell'università di Perugia per «corrispondere supinamente ai desiderata della Juventus». Ovvero la certificazione B1 di italiano per Suarez, requisito indispensabile per la concessione al calciatore del passaporto tricolore.
In primo luogo, contro Paratici ci sono le intercettazioni. Che dimostrano non solo che si occupava direttamente della pratica - al punto di smuovere in favore del passaporto a Suarez un ministro, la piddina Paola De Micheli, e un viceprefetto, il capo ufficio staff del Viminale Antonella Dinacci - ma anche che era consapevole del trattamento di favore riservato a Suarez dagli esaminatori di Perugia. Una delle intercettazioni chiave su questo punto è il dialogo che il 16 settembre, alla vigilia dell'esame, Lorenzo Rocca (uno degli incaricati dell'interrogazione) scambia con un conoscente preoccupato che Suarez, dopo essere stato promosso, venga intervistato rivelando il suo italiano da operetta: «Mi immagino se questo parla di merda e viene promosso, alla prima intervista in televisione... ah, quindi lei avrebbe superato l'esame di italiano e parla cosi?». Ma Rocca lo tranquillizza spiegando di avere parlato direttamente con il ds della Juve: «Ho parlato con Paratici, il quale mi ha detto non ti preoccupà, lui non rilascerà nessuna intervista». Sono frasi che per la Procura di Perugia dimostrano la piena consapevolezza da parte della dirigenza bianconera del pateracchio. E che la spingono a insistere sulla domanda più insidiosa: cosa hanno promesso, in cambio, Paratici e i suoi avvocati ai vertici dell'ateneo?
È il capitolo di indagine, l'accusa di corruzione, che viaggia più sotto traccia. Nel decreto di sospensione a carico dei docenti e degli avvocati, di questo reato non si parla: solo di violazione di segreto e di verbali falsi. Ma nella parte finale si scopre che la Procura ha chiesto gli arresti di alcuni degli indagati (non concessi dal giudice) proprio in base al sospetto di corruzione che aleggia sull'intera vicenda.
«Le indagini tuttora in corso - scrive al giudice il procuratore Raffaele Cantone - sono volte a verificare, anche sotto tale profilo, la condotta degli indagati, al fine di accertare se il compimento dei reati», cioè il falso e la rivelazione di segreti, «sia stato frutto di un unilaterale asservimento dei protagonisti della vicenda, dato il rilievo e la notorietà degli interlocutori (il calciatore e la squadra di calcio), ovvero sia stato ispirato dalla promessa di utilità». E a promettere le «utilità» in cambio della promozione di uno «che parla all'infinito, non spiccica una parola» può essere stata solo la Juve.
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