Sui vaccini gli italiani sono sempre più scettici

Solo 1 su 100 è totalmente contrario, ma cresce la "zona grigia": per il 20% non sono necessari

Sui vaccini gli italiani sono sempre più scettici

Dobbiamo vaccinare i nostri figli quando sono bambini? Per alcuni tipi di vaccinazione (antidifterica, antitetanica, antipoliomelitica, antiepatite virale b), il problema non si pone, perché sono obbligatori e non vi si può sottrarre. Ma esistono molte altre vaccinazioni, che riguardano importanti malattie (ad esempio, morbillo, pertosse, varicella, meningite), che sono facoltative e per le quali la decisione di utilizzo è lasciata al libero arbitrio dei genitori. Beninteso, anche l'impiego di questi ultimi vaccini è fortemente suggerito dalla maggior parte dei medici. Le vaccinazioni sono importanti per prevenire diverse patologie e gli eventuali effetti collaterali o dannosi si riscontrano in un numero minimo di casi. Ciò nonostante, si è discusso, specie in questi ultimi mesi, sull'opportunità di effettuare le vaccinazioni (alcune o tutte) sui bambini. Con svariate argomentazioni, pro o contro, alcune maggiormente corredate di trattazioni di carattere scientifico, altre meno. Uno degli effetti di questo dibattito è stato il fatto che diversi genitori si sono rifiutati di fare vaccinare i propri bambini, malgrado le sollecitazioni al riguardo delle autorità scolastiche o sanitarie. Alla luce di questa situazione, può essere interessante conoscere l'opinione degli italiani nel loro insieme. Sono favorevoli o contrari alla vaccinazione dei bambini?

La risposta a questo quesito ci è offerta da un recente sondaggio (effettuato dall'istituto Eumetra Monterosa) condotto su di un campione di cittadini rappresentativo della popolazione al di sopra dei 17 anni di età. I risultati mostrano subito una larghissima approvazione della pratica delle vaccinazioni: la netta maggioranza, più dell'80 per cento degli intervistati, dichiara che «è indispensabile vaccinare i bambini». Il dato appare simile tra donne e uomini, segno del fatto che, diversamente da quanto accade per altre tematiche legate alla famiglia e alla crescita dei figli, in questo caso l'identità di genere e quella materna in particolare non sembra contare nella formazione delle opinioni.

Vi è invece una differenziazione in relazione all'età dei rispondenti, con un maggiore livello di approvazione tra i meno giovani (87 per cento), indice forse di abitudini e convinzioni consolidate. Sul fronte opposto, vi è però una quota minoritaria, ma consistente, di rispondenti che non aderisce all'approvazione tout court e senza dubbi della pratica delle vaccinazioni.

Questa porzione di intervistati si suddivide a sua volta in due categorie. La prima, che risulta decisamente inferiore ed è quasi irrilevante (meno dell'1), è la posizione di chi pensa, in modo assolutamente drastico, che «non è il caso di vaccinare i bambini», escludendo quindi del tutto l'opportunità di ricorrere a questa pratica. La percentuale è dunque assai minuta, anche se non si può non rilevare che, se «proiettata» sull'universo degli italiani (pur tenendo conto del margine di approssimazione statistico, che, come si sa, incide in questo genere di campioni per il 3,5-4 per cento), rappresenta comunque una numerosità significativa di popolazione. Il che può suggerire che la posizione «oltranzista» è in ogni caso presente (come si vede d'altronde dai media e dal dibattito sul web), sia pur in misura assai limitata. È interessante rilevare, però, che questo genere di opinione è molto più diffusa tra i possessori di titoli di studio più elevati (specie tra i laureati, ove raggiunge il 7) e, di conseguenza, tra chi esercita le professioni più qualificate e remunerative, come gli imprenditori e i liberi professionisti (tra i quali la risposta in questione giunge a raccogliere addirittura il 10 per cento di adesioni). È in questi strati sociali che, come vedremo in seguito, l'atteggiamento ostile o comunque perplesso alle vaccinazioni trova più spazio e si diffondono spesso le posizioni più critiche, anche se talvolta discutibili.

La seconda categoria di chi mette in qualche misura in discussione la pratica delle vaccinazioni è rappresentata da una posizione intermedia che, pur sottolineando l'importanza di far vaccinare i bambini, tende a ribadire la «libertà di scelta», non condannando o delegittimando chi non desidera farlo. La risposta è così formulata: «È importante vaccinare i bambini, ma si può anche non farlo». Si tratta, insomma, di un orientamento più possibilista, che non esclude al tempo stesso l'eventualità di un dissenso. Anche questo atteggiamento è espresso da una quota minoritaria degli intervistati (17 per cento), sebbene assai più consistente di quello più drastico visto in precedenza, sino a raggiungere quasi un quinto del campione. Che è sostanzialmente favorevole alla pratica delle vaccinazioni, ma anche disposto a prendere in considerazione il loro rifiuto.

Questa convinzione risulta relativamente più presente tra i maschi e, specialmente, tra chi ha dai 25 ai 34 anni (tra i quali raggiunge il 22 per cento), vale a dire l'età in cui spesso si progettano o si hanno bambini piccoli. E lo è, come si è accennato, tra i laureati, che ribadiscono, anche in questo caso, la loro predisposizione ad assumere atteggiamenti più critici.

Nell'insieme, dunque, la grande maggioranza del campione di italiani intervistati appare convinta della necessità di far vaccinare i bambini, in modo da proteggerli dall'insorgere di malattie pericolose. Ma l'atteggiamento scettico sulle vaccinazioni o quello possibilista sulla eventualità di non praticarle è in ogni modo presente.

Anche se in una quota di popolazione minoritaria, di certo inferiore a quella talvolta evocata da alcuni media. Il che mostra comunque l'opportunità che il mondo medico e scientifico favorevole alle vaccinazioni prosegua e forse intensifichi la sua campagna informativa sulla necessità di queste ultime per la tutela della salute.

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