Il governo Draghi è arrivato al primo bivio realmente decisivo e la cabina di regia di ieri pomeriggio ne è stata la plastica rappresentazione. Il secondo round dell'incontro con i sindacati, dopo il fallimento di martedì sera, è stato puramente interlocutorio in quanto entrambe le parti erano rimaste sulle proprie posizioni. Anche se il tema era il G20 del Lavoro, il dossier pensioni è stato pedissequamente riproposto da Cgil, Cisl e Uil senza però sortire effetti e, difatti, all'uscita Landini, Bombardieri e Sbarra hanno nuovamente manifestato il proprio malumore.
Ma questa «scollatura» con il sindacato, rappresentata l'altroieri dal premier che ha abbandonato il tavolo, si è riflessa pure sugli equilibri politici, creando una sorta di faglia bipartisan tra la componente «sociale» e quella più «liberale». La prima, costituita da M5s, Leu e ala sinistra del Pd, vorrebbe un compromesso sulle uscite flessibili. Compromesso che si è intestata la Lega cercando fino all'ultimo con l'ex sottosegretario Durigon di squadernare una proposta per una «quota 102» (64 anni di età + 38 anni di contribuzione) valida solo per il 2022.
Dall'altra parte c'è il premier con il ministro dell'Economia, Daniele Franco. I due titolari della politica di bilancio hanno sostanzialmente confermato l'impianto del Dpb che, si badi bene, è fatto di capitoli non di provvedimenti. In pratica, il governo ha stanziato 8 miliardi per il taglio delle tasse, 3 miliardi per la riforma degli ammortizzatori sociali e un miliardo a testa per le pensioni e il reddito di cittadinanza. Non a caso, nella cabina di regia uno dei primi argomenti affrontati è stata la revisione del sussidio grillino con una «sforbiciata» in caso di rifiuto di due offerte di lavoro. Allo stesso modo, si può interpretare l'ok alla proroga del superbonus 110% anche per le abitazioni unifamiliari.
Ecco, il governo - affiancato con convinzione da Forza Italia e Confindustria - punta su una responsabilizzazione di tutti gli attori della scena sociale. Ad esempio, a Palazzo Chigi non dispiacerebbe che a definire le priorità dei tagli fiscali fosse lo stesso Parlamento facendo proprio il disegno draghiano e stabilendo se sia meglio tagliare il cuneo fiscale o abbattere un'aliquota Irpef. E responsabilità significa anche non aumentare la spesa pensionistica a dispetto delle generazioni più giovani chiamate a contribuire al pagamento degli assegni di quelle più anziane con il rischio di dover allungare la propria carriera lavorativa fino a 72 anni.
E non si tratta solo dei diktat europei. Anche se non esistesse il Patto di stabilità, un Paese con alto debito e un costante incremento della spesa pensionistica (quindi soggetto a un progressivo invecchiamento) dovrebbe necessariamente utilizzare la leva fiscale nel medio termine per riequilibrare i conti. E le scelte «responsabili» in questo caso allontanano lo spettro della stangata.
Ieri è approdata in Parlamento la delega fiscale, bollinata dalla Ragioneria dello Stato. Al suo interno c'è anche la revisione degli estimi catastali con affiancamento del valore di mercato. Una potenziale bomba a orologeria. Tocca ai «responsabili» disinnescarla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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