Vincenzo Pricolo
Il più classico dei ritorni al futuro. Le forze armate turchia, tradizionalmente fedeli al dettato del fondatore della Turchia moderna Kemal Ataturk, riprendono il campo e provano a spazzare via Recep Tayyip Erdogan, il superpresidente della Repubblica che, forte della rielezione del 2014, aveva accelerato la politica che aveva perseguito da premier (dal 2002 al 2014). Una politica autoritaria fondata sulla convinzione che la Turchia dovesse recuperare le sue radici islamiche mandando al macero l'ideologia profondamente laica di Ataturk. Una politica, giusto ricordarlo, che aveva trovato il consenso popolare in numerose consultazioni elettorali.
Ma lui non molla. E si appella via Facetime, usando un telefonino na rivolta di una minoranza dell'esercito. La Nazione deve serrare i ranghi e difendere il Paese , la democrazia ed il Governo, Scendete in piazza e date la vostra risposta ai golpisti. Il popolo deve resistere e ribellarsi e respingere quello che è a tutti gli effetti un colpo di stato militare».
Evidentemente, però, Erdogan aveva presunto troppo da se stesso e dal seguito che aveva e forse ha tuttora nell'elettorato. Sessant'anni, l'ex ragazzino di Kasinpasa - il quartiere popolare di Istanbul dove si vantava di essere cresciuto - per ricordare ai suoi elettori di essere uno di loro e non parte dell'élite «europea» -, l'ex venditore ambulante poi calciatore riconvertito alla politica, poi sindaco di Istanbul, era diventato il primo capo dello stato eletto a suffragio universale. E aveva concentrato su di sé una somma di poteri degna dei sultani ottomani di cui si è sempre detto grande ammiratore. Per molti turchi è «il Sultano», «il Grande uomo», per gli oppositori «Il Dittatore». Che cosa pensare, senza entrare nel merito, di una personalità pubblica che dice «la democrazia è come un tram, quando si è arrivati dove si vuole si scende»?
Fino al 2012 tutto bene, sia per la Turchia - la cui economia cresce a ritmi cinesi e il cui reddito pro capite triplica - e sia per il Sultano, che sposa la causa delle primavere arabe, rompe con Israele, flirta con Hamas e i Fratelli Musulmani, entra nell'asse sunnita con Qatar, Egitto e Arabia Saudita, si vede «grande leader» del Medio Oriente.
Nel 2013 cominciano i guai veri. L'ex amico Bashar al Assad non cade. Si incrinano i rapporti con Iran, Russia, Egitto e con quel poco che resta dell'Irak sognato da Bush jr nell'ormai lontanissimo 2013. Esplode la rivolta di Gezi Park, con centinaia di migliaia di giovani che contestano la svolta autoritaria e l'islamizzazione imposte dal premier e rivendicano più democrazia e libertà E Erdogan ordina una
feroce repressione: muoiono otto ragazzi, migliaia i feriti. Il
mondo lo condanna. L'immagine del 'sultano' si offusca.
Il 17 dicembre esplode la tangentopoli turca. Decine di nomi
eccellenti del regime sono coinvolti, con lo stesso Erdogan. Il
premier accusa di complotto l'ex-alleato Fetullah Gulen,
defenestra centinaia di magistrati e migliaia di poliziotti,
insabbia le inchieste. Rafforza il controllo dei media, promuove
leggi 'liberticide' per controllare la giustizia, imbavagliare
internet. Da' piu' poteri ai servizi segreti. E arriva il 2014: il
30 marzo Erdogan a sorpresa vince le amministrative. E oggi
diventa il nuovo presidente: la scalata a Palazzo Cankaya,
quello costruito per il primo presidente Ataturk, e' conclusa.
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