Per il suo avvocato, Kaili è torturata in carcere "Sedici ore al freddo senza poter dormire"

La deputata non si pente e si dichiara innocente: nessun legame con "il clan"

Per il suo avvocato, Kaili è torturata in carcere "Sedici ore al freddo senza poter dormire"

La «tortura», se di questo si tratta, va avanti. Eva Kaili, socialista greca e ex vicepresidente del Parlamento europeo, resta in carcere: nel carcere di Haren dove si trova dal 9 dicembre, arrestata nella retata de Qatargate insieme al suo compagno Francesco Giorgi e al motore di tutta la vicenda, Antonio Panzeri. La decisione che tiene in carcere la Kaili arriva al termine di una udienza sofferta, davanti alla Corte d'appello di Bruxelles, in cui ai pm che segnalavano il rischio di fuga e di inquinamento delle prove i legali della deputata replicavano con le proteste di innocenza della donna e con la possibilità di tenerla sotto controllo con metodi meno brutali del carcere.

Uscendo dall'aula, il legale greco della Kaili, Michalis Dimitrakopoulos, va giù pesante: «Per sedici ore è stata in una cella di polizia, non in prigione, e al freddo. Le è stata negata una seconda coperta» e «questa è tortura». La polemica sulle condizioni di detenzione della donna si trascinano da settimane, basate anche sul fatto che la Kaili e Giorgi hanno insieme una bambina piccola, e lei «ha potuto vedere sua figlia solo due volte» in quaranta giorni di carcere. Ma quando Dimitrakopoulos parla di tortura fa un passo in più: «Le sono stati rifiutati altri indumenti, le hanno preso il giubbotto. Questa è tortura. La luce è stata accesa in continuazione, e non ha potuto dormire. Questa è tortura. Era indisposta, con un abbondante sanguinamento, senza potersi lavare. Eva Kaili è accusata, ma esiste sempre la presunzione di innocenza. Siamo in Europa: questi atti violano la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, questi anni purtroppo sono il Medioevo». Parole così pesanti che l'altro legale Andrè Rizopoulos cerca di metterci una pezza, «nella prigione di Haren è trattata meglio rispetto agli infelici che si trovano nella prigione di Saint-Gilles. Cerco di restare giusto». Saint Gilles è un carcere ottocentesco di famigerata durezza.

La discussione sulle condizioni carcerarie porta con sè il vero tema, cioè la linea difensiva della Kaili in uno scenario bruscamente cambiato dall'accordo di collaborazione stretto tra la procura e Panzeri. Per ora, a quanto si capisce, la donna non intende seguire il principale imputato sulla strada del «pentimento»: «nessuno le ha chiesto di pentirsi, non le è stato proposto alcun accordo», dicono i suoi legali. La Kaili d'altronde, dicono, non ha niente di cui pentirsi, perchè «si dichiara innocente» e «non ha mai avuto alcuna relazione con Panzeri». E le confessioni dell'italiano? «Panzeri si sta comprando un futuro», ironizzano i suoi legali.

Il problema è che nel suo accordo con gli inquirenti belgi l'ex deputato Pd punta a minimizzare il proprio ruolo e a scaricare su altri: «Panzeri - riferisce ieri il suo legale - non ha mai corrotto per se stesso, ma per altre persone in Qatar e Marocco che gli hanno chiesto di farlo e hanno organizzato tutto. Non è lui la mente dell'organizzazione. Ne ha approfittato? Certo. Ha agito attivamente? È vero. Ma non è lui il principale attore». L'italiano punta insomma a ritagliarsi un ruolo da semplice intermediario tra le nazioni interessate a ammorbidire l'Unione europea e i deputati disposti ad ascoltarne - gratis o più spesso a pagamento - le ragioni. In questa strategia difensiva le colpe maggiori sono scaricate sui parlamentari: come Marc Tarabella, il socialista belga che Panzeri ha dipinto come un avido ricettore di sacchetti di banconote. Cosa abbia detto Panzeri della Kaili, nel suo interrogatorio decisivo del 10 gennaio, ancora non si sa.

Ma ieri i legali rivelano un passaggio significativo: nelle stesse ore in cui Panzeri «cantava», la Kaili è stata messa in stretto isolamento. Come se si volesse impedire che le arrivasse l'eco di rivelazioni che la riguardavano.

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