Ogni volta che c'è di mezzo Fabrizio Corona ci ricordiamo e constatiamo, che in Italia c'è una giustizia, ci sono tribunali, avvocati, giudici, una cancelleria e che, sorprendentemente, tutto funziona. Nessuno è mai stato tanto prontamente ammanettato e condotto al gabbio quanto l'ex agente di fotografi che oggi non sapremmo in quale categoria professionale (e anche un po' umana) ascrivere. La vita di Fabrizio si è trasformata ormai in un evidente, continuo, scomposto grido d'aiuto. Lui non lo sa, ma è così. Mai visto qualcuno «suicidarsi» socialmente con la sua frequenza e la sua ostinazione: e non adesso, che si taglia i polsi e si cosparge la faccia di sangue come una languida diva d'altri tempi in versione splatter. Non adesso, in questa versione truculenta e antiestetica (al contrario, Corona ha quasi un'ossessione per il lato estetico della vita, in ogni suo aspetto): sono ormai anni che si rovina con irrefrenabile fantasia. Si fa prendere a botte dalla vita, mette il culo davanti ai calci, vanifica tregue e aiuti. Infrange la legge, sfascia la famiglia, pianta le donne, distrugge le automobili, imbottisce i soffitti di soldi non dichiarati al fisco, si autoproclama agente delle ragazze abusate alle «feste» di Alberto Genovese... Mai visto qualcuno scalpitare tanto davanti alla prospettiva di una vita «normale». Mai visto qualcuno scoraggiare via via e poi portare allo sfinimento i suoi già scarsi sostenitori, accelerare vedendo davanti il muro. Eppure... Eppure c'è sempre qualcosa che ci lascia perplessi nel vedere tanta caparbia solerzia nell'applicare la legge su Fabrizio Corona. E c'è sempre qualcosa che ci lascia perplessi nel vedere che «quell'altro lui» (che c'è), non riesce mai a farcela. Come se fosse anche un po' colpa nostra, e non solo sua. Come se quel continuo sorvegliare e punire, fosse l'ultima delle soluzioni adatta a quell'inconsapevole, disperato nemico di se stesso. Che ha scambiato il mondo per l'oratorio in cui faceva il bullo e tirava pallonate alle vetrate. C'è una parte di Fabrizio che è rimasta da qualche parte: impigliata, bloccata, maltrattata. La vetrata oggi è la sua fedina penale, i compagni sbeffeggiati sono diventati accusatori, ex mogli, figli già affaticati da tutto quello che hanno visto, la punizione del parroco oggi è la galera.
Lui compie 47 anni il 29 marzo e non riesce a mettersi a posto. A trovare un posto e una tregua, da se stesso prima che da tutto il resto. Ma la giustizia italiana ha intanto trovato posto in lui: Corona è il posto in cui la giustizia del nostro Paese resiste.
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